Plusdotati, iperdotati, bambini prodigio ad alto potenziale cognitivo, gifted children: in poche parole, i piccoli geni.

È di poche ore fa l’invito del ministro dell’Istruzione Bussetti ad avere per loro un occhio di riguardo in vista degli esami conclusivi di terza media e di maturità: sarebbe opportuno inserirli tra i Bes, abbreviazione con cui si designano i ragazzi con bisogni educativi speciali (anche se di solito questi bisogni riguardano disabilità, disturbi dell’apprendimento o situazioni di disagio sociale), e formulare dei piani didattici personalizzati (Pdp).

La cinematografia pullula di storie di ragazzi intellettivamente superiori alla media: chi non ricorda il percorso del giovane Stephen Hawking ne “La teoria del tutto”, o il tormentato portento della matematica di “Will Hunting genio ribelle”, o ancora, l’eccentrico Nobel di “A beautiful mind” interpretato da un Russel Crowe in stato di grazia?

Quanti sono i plusdotati nelle nostre scuole? Come si riconoscono?

Inutile stabilire se sia il dna a dispensare talenti fuori quota o un ambiente familiare eccezionalmente stimolante.

Le stime dicono che i ragazzi prodigio sono il 2% della popolazione scolastica.

Chi ha occhio li individua perché hanno un bisogno esuberante di imparare e approfondire, capacità quasi “filosofiche” di astrarre, memorizzano con velocità sorprendente, possiedono un innato e pervicace senso della giustizia, sono ipersensibili e sfidanti. Di contro, capita che siano incostanti e apparentemente demotivati, forse perché si annoiano e non si accontentano delle risposte “scolastiche” ai loro quesiti e ai loro bisogni.

Facile però dire “intelligenti” (anche se intelligenti lo sono di sicuro perché hanno un quoziente intellettivo di almeno 130 punti contro i 100 della media): un bambino o un ragazzo plusdotato è qualcosa di più e di diverso da un alunno sveglio e brillante, tanto che per rientrare in questa categoria bisogna essere sottoposti a una batteria di test e alla valutazione di psicologi esperti in materia; iter tra l’altro costoso, per le famiglie che vogliano affrontarlo.

Perché non sono adeguatamente valorizzati?

Alla scuola italiana si rimprovera di non farsi sufficientemente carico di questi alunni, che a volte nelle nostre classi spengono il loro brio, si confondono e si appiattiscono e poiché si sentono diversi possono sviluppare ansie, disturbi psicosomatici e iperattività. All’estero invece per i ragazzi particolarmente dotati sono previsti percorsi flessibili (addirittura possono saltare una classe) e attività extracurricolari ad hoc.

Da noi in pochi sembrano prendersi davvero cura di loro.  In Italia esistono diverse associazioni che studiano e gestiscono questo fenomeno: tra tutte l’Aget Italia (Associazione Genitori Education to Talent), la cui richiesta principale è che la plusdotazione venga valorizzata dal sistema dell’istruzione; e il Mensa (presente oltre che da noi in più di cento paesi), che incoraggia l’intelligenza come risorsa sociale e organizza corsi con classi di età miste su materie complesse come ad esempio l’ingegneria aerospaziale.

Ma anche la formazione docenti si sta muovendo con corsi di aggiornamento che insegnino a riconoscere i ragazzi “speciali” e a trattarli: è ad esempio imprescindibile curare il loro rapporto con i coetanei (devono socializzare normalmente) e con i docenti (che viceversa tenderebbero a mettere in discussione). Ma è altrettanto importante imparare ad affidare loro compiti di arricchimento per sé e per la classe e farli lavorare in gruppo.

Diversificare gli apprendimenti

Il tema della valorizzazione della plusdotazione rientra in quello più ampio della diversificazione degli apprendimenti e dell’inclusività, che devono diventare cultura condivisa della scuola.

La scuola deve evitare che una dote speciale si trasformi in un limite e l’intelligenza, ancorché particolare, non deve sortire un effetto boomerang.

Per chi volesse approfondire: www.agetitalia.it (che ha anche una pagina Facebook) e www.it.mensa.org.