La donna in cima alla fila ha una sessantina d’anni e sul suo viso si mescolano dignità e fatica. «Vivo qui vicino, ma niente nomi». È arrivata alle 8, anche se lo sportello apre un’ora dopo, «perché si entra uno alla volta e la perizia è una faccenda lunga». Stringe al petto una borsa: «Orologi» sospira. «Erano di mio marito. Io ho una pensione di 640 euro che arrotondavo facendo le pulizie, ma da quando è scattata l’emergenza Covid-19 nessuno mi ha più chiamata. Non ho alternative».
“Non ho alternative” è la frase più diffusa fra la ventina di persone in coda davanti a uno dei 3 banchi di pegno milanesi che nelle ultime settimane hanno lavorato a pieno ritmo. Siamo in viale Certosa, periferia ovest della città, e a poche centinaia di metri dai grattacieli e dalle residenze esclusive del quartiere Fiera si snoda la coda di un’altra Italia, sempre più visibile e disperata.
L’affluenza è cresciuta del 30%
Se la fila davanti ai monti di pietà è da sempre il termometro più attendibile per misurare una crisi economica, la situazione odierna non lascia intravedere niente di buono. Secondo Affide, il consorzio leader europeo nel credito su pegno, da quando il lockdown ci ha chiusi in casa le richieste sono cresciute del 30% e il 64% dei nuovi clienti cerca liquidità per fare fronte alle minori entrate di questo periodo. Sono disoccupati, cassintegrati e persino piccoli imprenditori piegati dalla crisi, per i quali ottenere denaro in questo modo è più semplice che riceverlo per diritto: lo Stato annaspa nella burocrazia, mentre i compro oro, che peraltro hanno riaperto solo all’inizio della fase 2, sono un’alternativa rapida ma tutt’altro che indolore. «Le loro quotazioni sono più basse nonostante il lingotto sia ai massimi» rivela Marco, grossista che rifornisce, o meglio riforniva, locali e ristoranti. «E poi tendono ad accettare quasi solo metalli, al massimo qualche gioiello. Qui, invece, si possono impegnare anche quadri, pellicce, tappeti, come ho fatto io. Con in più la speranza di poterli recuperare, se e quando i soldi torneranno a girare».
Il prestito medio è sui 1.000 euro
La differenza tra rassegnazione e speranza sta tutta nel foglio A4 che porta con sé, assieme ai contanti, chi esce dall’istituto dopo aver finalmente raggiunto il suo turno. Tecnicamente non è una cessione, ma un prestito: porti in garanzia un bene prezioso che verrà custodito per alcuni mesi e in cambio ottieni una somma di denaro. Al termine del periodo prestabilito – da 1 a 6 mesi oppure 1 anno – puoi riavere i tuoi oggetti restituendo il denaro, maggiorato di un interesse medio del 2%. Ciò che non viene riscattato diventa di proprietà del banco e finisce all’asta o, nel caso di oro e argento, in fonderia.
In Italia scelgono questo strumento 300.000 persone l’anno, per affidamenti complessivi che oscillano tra gli 800 e i 900 milioni di euro. Il prestito medio ottenuto è di poco superiore ai 1.000 euro, e in condizioni normali il 95% dei beni dati in pegno torna in mano ai proprietari. Quest’anno, sempre secondo le stime degli addetti ai lavori, la quota scenderà fino al 90%, altro segno evidente di una mancanza cronica di liquidità per molte famiglie.
I gioielli servono a pagare spesa e bollette
Per non aggravare le difficoltà del periodo, molti operatori stanno studiando soluzioni ad hoc. Dallo scorso 11 maggio, per esempio, Affide non richiede gli interessi per i pegni di lieve entità riscattati entro il primo mese, mentre Ubi Banca, che gestisce la maggior parte degli sportelli fra Milano, Brescia e altre province lombarde, ha sospeso la messa all’asta dei beni fino al prossimo settembre. Entro quella data spera di essere fuori dall’emergenza la coppia di giovani partite Iva che attende il suo turno per piazzare monete, braccialetti e collanine accumulate con battesimi e cresime.
Un altro grande classico dei tempi di crisi: ogni italiano, dice l’Istat, possiede fra i 4 e i 6 gioielli che non ha mai utilizzato. Una riserva utile a pagare cibo e bollette quando le altre entrate scarseggiano: «Aspetto 4.500 euro di pagamenti per lavori già effettuati, ma le aziende sono chiuse o in difficoltà peggiori delle mie» spiega la ragazza. «Abbiamo già ricevuto entrambi i 600 euro di sussidio per i liberi professionisti, ma bastano a malapena per l’affitto. Così, eccoci qua». In strada la coda è lievitata a oltre 30 persone. «Nei giorni più duri siamo arrivati anche a 50, con la gente che ha fatto a botte per entrare prima della chiusura» ammette il vigilante privato incaricato della sorveglianza. Verso mezzogiorno anche 2 poliziotti passano per sincerarsi che la situazione sia tranquilla, proprio mentre un paio di anziani, sfiniti dal caldo e dall’attesa, abbandonano le sedie messe a disposizione dal bar accanto e tornano a casa. L’ultimo signore che incontro non può permetterselo. Apre il borsello e mostra le polizze dei gioielli di famiglia: «Scadono oggi, ma sono costretto a rinnovarle per altri 6 mesi perché non lavoro da 2. Non è facile diventare poveri di colpo, sa?»