Dopo la Barbie Bebe Vio, con tanto di protesi e sedia a rotelle, arrivano altri modelli di Barbie inclusive: senza capelli (pensata per le bambine che si trovano momentaneamente in questa condizione), con protesi dorata a una gamba e con vitiligine. L’obiettivo? Ispirare e incoraggiare tutte le bambine a credere nelle loro capacità e a non rinunciare ai loro sogni.
Una tendenza in crescita già nel 2019, quella delle diverse dolls: bambole non solo con disabilità ma curvy, afro, in 5 tipologie di corporatura e 22 carnagioni. Che piacciono, e molto: più della metà delle Barbie vendute l’anno scorso nel mondo erano appunto inclusive. Nella top ten dei best sellers mondiali, nel 2018 sette erano diverse dolls, inclusa la bambola in sedia a rotellle. Negli UK, le Barbie con sedia a rotelle (due modelli) sono state la prima e la seconda più vendute tra le Fashionistas, la linea che comprende la bambole inclusive. Mentre, a livello globale, la prima Fashionista più venduta è stata la doll curvy scura con i capelli afro.
Sono solo operazioni di marketing (o un eccesso di politically correct) oppure una bambola può davvero servire a combattere il pregiudizio sulla disabilità e aiutare l’inclusione? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Giada Morandi, educatrice, anche lei in carrozzina, dottoressa in psicologia e coordinatrice dell’ambulatorio ginecologico Fior di Loto di Torino, uno dei pochissimi in Italia accessibili alle donne con disabilità.
«Una bambola da sola non basta ad abbattere gli stereotipi» risponde l’esperta. «E certo non può favorire l’integrazione: la percezione che i bambini hanno dei loro coetanei disabili è influenzata ovviamente dalla famiglia e dalla scuola. Ma può essere un punto di partenza per sensibilizzare i genitori a parlare di disabilità. E non solo. Può aiutare le bambine e le ragazze con disabilità a sentirsi rappresentate. La mancanza di rappresentazione parte dall’assenza di pensiero. E questo si traduce in discriminazione. Le ragazze con disabilità non sono e non si sentono riconosciute come donne. Vedere che, come nella vita, anche nei giochi ci sono bambine e donne come loro le fa sentire meno sole, meno invisibili».
In questo senso la Barbie in carrozzina o con la protesi può favorire l’inclusione. È una considerazione simile che ha spinto un gruppo di mamme inglesi, qualche anno fa, a promuovere il progetto #toylikeme per chiedere alle aziende produttrici di giocattoli di mettere sul mercato anche giochi e bambole disabili.
Lo stesso bisogno di identificarsi e di sentirsi rappresentate lo vivono anche le adulte con disabilità. Lo sanno bene al Comune di Torino che nella locandina della Campagna contro la violenza sulle donne È tutta un’altra storia scelgono di pubblicare la foto anche di una ragazza in sedia a rotelle.
Piccoli gesti che possono contribuire a cambiare la percezione culturale della disabilità, soprattutto al femminile. «Nell’immaginario di un bambino è importante ci sia l’idea che una donna in carrozzina faccia parte della normalità» conclude la psicologa. «È un modo per allenare i normodotati a contemplare l’esistenza della disabilità e a concepirla come una delle possibili condizioni della vita. Così quel bambino, crescendo, magari diventerà un architetto che progetterà spontaneamente case senza barriere architettoniche».