Bebe Vio ci ha esaltato ancora una volta. Ancora una volta ha dimostrato tutta la sua straordinaria capacità di opporsi al destino e a quel calcolo delle probabilità che fa la differenza tra la vita e la morte, sempre nascosto nei piccoli numeri.
I miracoli di Bebe
Prima la meningite fulminante a 11 anni, che le toglie gambe e braccia. Nel 97 per cento dei casi si muore, lei rientra in quel 3 per cento. E con quattro protesi, a un anno di distanza torna a tirare di scherma e alle Olimpiadi di Rio nel 2016 vince l’oro. Quante persone come lei? Quante rinascite hanno il gusto di vittorie così? Adesso la storia si ripete: di nuovo il gioco a rimpiattino con un altro batterio, e con la morte. Lo veniamo a sapere da Instagram, dopo l’oro nel fioretto individuale. Bebe racconta che non solo la vittoria ma anche la sua partecipazione alle Paralimpiadi di Tokyo è stata una specie di miracolo.
È così, con le sue parole semplici e dirette, piene di tutto, che scopriamo che la sorte le ha presentato di nuovo il conto e lei ha dovuto affrontare ancora una brutta infezione, che in rarissimi casi può essere molto grave e mettere in pericolo anche la vita. «Venivo da un anno di alti e bassi. Il grave infortunio al gomito a settembre dell’anno scorso, dolorosissimo. I lunghi mesi di riabilitazione. Finalmente stavo meglio. Poi ad inizio anno il crollo: infezione da Stafilococco aureo». Si chiama “aureo” ma di dorato non ha nulla, se non il primato di essere tra i più comuni, e cattivi. «Un altro maledetto batterio, dopo il meningococco di tanti anni fa». Il batterio trova la strada spianata dopo che a settembre 2020, in seguito a un infortunio al gomito sinistro – il braccio con cui tira – Bebe si sottopone a varie infiltrazioni e alla riabilitazione. L’infezione si palesa nei primi mesi del 2021.
Cos’è lo Stafilococco
Questo batterio è molto comune, come ci spiega il professor Marco Tinelli, Presidente del Congresso Internazionale AMIT (Argomenti di Malattie Infettive e Tropicali), uno degli eventi più importanti a livello internazionale sulla gestione delle infezioni (a Milano il 16 e 17 settembre 2021). «È estremamente diffuso e si trova nel 30 per cento dei casi sulle mani e, in alcune persone, in percentuale minore anche nel naso. Nella maggior parte dei casi non dà disturbi ma se viene a contatto con una ferita, in particolar modo dopo un intervento chirurgico, può provocare gravi infezioni ed in rarissimi casi anche la morte. Il 10-15 per cento delle infezioni post chirurgiche è provocato da batteri, e lo stafilococco è quello che ne causa di più». L’aumento delle misure di prevenzione negli ospedali e avere a disposizione una serie di antibiotici molto efficaci verso questo batterio è un’ottima prospettiva di successo, come spiega il professor Tinelli. «Oggi in Italia la situazione, riguardo il controllo delle infezioni batteriche è molto migliorata rispetto a qualche anno fa, per una maggiore igiene e profilassi negli ospedali e soprattutto anche per un uso più mirato e meno massivo degli antibiotici che hanno determinato negli anni passati aumento delle resistenze»..
Non conforta sapere che se dopo una giornata facessimo un tampone sulle mani, tutti noi avremmo colonie di questo batterio. «Fa parte dei saprofiti colonizzanti, cioè ha una diffusione molto ampia. Per questo è importante lavarsi spesso le mani. Il rischio di avere infezioni da Stafilococco è più alto soprattutto chi ha delle ferite, oppure è immunodepresso perché in terapia ad esempio con il cortisone o per un tumore».
Il rischio dell’amputazione
Insomma stavolta Bebe è stata colpita da un problema molto comune, potenzialmente molto pericoloso, ma ancora una volta l’imponderabile vince contro il calcolo delle probabilità. Come racconta lei stessa, l’équipe dell’ospedale Galeazzi di Milano le prospetta una nuova amputazione se l’infezione fosse arrivata all’osso, necessaria perché in caso contrario avrebbe potuto rischiare la vita. Bebe racconta che in quel momento il mondo le è crollato addosso. L’operazione però ferma l’avanzata del batterio, e così lei ricomincia con una nuova riabilitazione. Ancora una scommessa quando farcela è una probabilità minima, minuscola. Tutto ciò succede 119 giorni prima della Paralimpiadi, meno di quattro mesi. ««Non ce la farete mai», si sono sentiti dire lei e lo staff. «Ci vogliamo provare?», si sono invece chiesti loro. E così è arrivato l’oro nel fioretto individuale, il secondo dopo Rio 2016 («Quello aveva un altro sapore – ha detto Bebe – ma questo pesa di più»), e poi l’argento a squadre con Andreea Mogos e Loredana Trigilia. «Mi hanno salvata le persone, è a loro che devo queste vittorie». E lei ne ha per tutti: «I medici e i loro staff, Mauro il mio fisioterapista, Peppone il preparatore, il maestro della Nazionale, le mie compagne di squadra. Tutti gli amici, e la mia famiglia. La mia forza. Il mio tutto».