Cercando una frase giusta per iniziare questo articolo, sono incappata in un aforisma attribuito a Johnny Depp. Verificarne l’autenticità è praticamente impossibile ma, siccome rovinare certe notizie con la verità può essere un peccato, lo prendo per buono perché, a prescindere da chi l’abbia pronunciato, riassume benissimo il senso di dove vogliamo andare a parare. «La bruttezza è meglio della bellezza» dice la citazione. «Dura più a lungo e, alla fine, la gravità ci prenderà tutti». Al netto del pessimismo, il ragionamento è lucido. Sulla linea del tempo l’estetica è una variabile fragile: per non cadere, occorre attaccarsi a qualcosa di più solido.

Che cos’è la bellezza

Più o meno quello che ha sostenuto Demi Moore parlando del suo ultimo film, l’horror femminista The Substance (per il quale ha anche sfiorato l’Oscar per la migliore attrice protagonista), in cui interpreta una star in declino che, arrivata a 50 anni, sperimenta un siero capace di riportarla indietro alla miglior versione di sé (illusione destinata, ovviamente, a finire malissimo…).

In ballo c’è la paura di invecchiare, ma anche la violenza che arriviamo a infliggere a noi stesse per adeguarci a certi standard di bellezza pur di compiacere lo sguardo altrui

«Interpretando il film, ho imparato a sospendere il giudizio impietoso nei miei confronti e a celebrare tutto ciò che sono invece di focalizzarmi su ciò che non sono» ha detto Demi Moore. Dopotutto, bellezza è una parola ambigua: chiunque la pronunci le assegna un significato differente, condizionato dagli stereotipi, dai sentimenti, dalla fase della vita. Ma esiste un minimo comune denominatore nell’esperienza della bellezza, qualcosa capace di resistere al tempo e alla gravità? Lo abbiamo chiesto a tre donne di tre generazioni diverse.

Non c’entra la perfezione, ma ciò che trasmetti agli altri

Francesca Biella, 26 anni, content creator, podcaster, autrice di Oggi sarà bellissimo (Mondadori).

«“Che begli occhi hai”. Da bambina me lo sono sentita ripetere infinite volte. Se devo associare la bellezza a me stessa, è la prima cosa che mi viene in mente. Per il resto, nessuna certezza. Crescendo, ho attraversato i miei conflitti ma avevano poco a che fare con l’oggettività della mia immagine. Come ti vedi fuori dipende da come sei dentro: se stai bene con te stessa, sei in pace anche con i tuoi difetti. Oggi cerco dove posso di migliorarmi, ma apprezzo quello che ho perché ho capito che la bellezza non ha a che fare con la perfezione, bensì con quello che trasmetti agli altri». Certo, esporsi sui social, spiega, per la sua generazione ha condizionato non poco le regole del gioco.

Ci sono ragazze che postano foto in cui sono bellissime, mentre in realtà sono super insicure. Io, se non mi piaccio, non mi espongo. Non so fingere. Se mi vedo bella, invece, lo dico

Di bellezza ce n’è più di una

«Scrivere “Oggi mi sento strafiga” è liberatorio e fortunatamente tante di coloro che mi seguono hanno imparato a farlo». L’altra conseguenza, dice, è che per colpa dei social finisci per pensare che la bellezza sia una sola, vicina alla perfezione. «Sei bombardata da video e foto di ragazze con il fisico scolpito e anche tu finisci per desiderare quel tipo di immagine. Più sei bella, più la gente commenta. Quando ho aperto TikTok, hanno cominciato a scrivermi che avevo il labbro superiore troppo sottile. Fino ad allora alle mie labbra non avevo mai pensato, improvvisamente le vedevo piccolissime. Due settimane dopo sono andata a farmi il filler».

I social, se non hai sicurezza, ti portano in quella direzione: cerchi la perfezione e poi la mostri, solo per farti dire che sei bella

Né push-up né filtri sui social: non ho mai cercato il fake

Elisabetta Marangoni, 48 anni, agente immobiliare e influencer real estate, mamma di due bimbe.

«Sono sempre stata piuttosto androgina. Il mio complesso più grande da adolescente era la magrezza e infatti mettevo la tuta sotto i jeans per fingere di avere le gambe più tornite. Il problema non veniva dall’esterno: le modelle erano dei grissini. Io però in quel canone estetico non mi ci trovavo». Vedersi bella, dice, non era tra i suoi pensieri. «Mi era facile accettare di non essere guardata dai ragazzini, non ho mai avuto la pretesa di piacere a tutti e questo mi ha messa al riparo da certe insicurezze». Finché poi, attorno ai 23-24 anni, gli sguardi dei maschi hanno cominciato a posarsi su di lei. «Lì ho capito che anche io ero bella. Però a quella scoperta non ero impreparata. Mio padre, molto intelligente e molto femminista, mi aveva spiegato come funzionasse la seduzione: sapevo di poter avere anche cento fidanzati, purché fossi io a volerli. Una volta ho fatto un test: sono uscita di casa in pigiama e ho fatto il giro dell’isolato. Poi l’ho rifatto in tacchi e minigonna e ho visto il cambiamento».

Il potere della bellezza

«Quando capisci di avere quel tipo di potere, sai come usarlo. E te ne freghi anche dei difetti. Un ragazzo mi ha chiesto: “Come fai tu a vivere senza le tette?”. Non ho mai cercato il fake: come oggi non uso i filtri sui social, allora non usavo il push-up». La menzione ai filtri non è casuale, perché una parte importante del suo lavoro passa attraverso Instagram. «Ho iniziato a utilizzare i social per promuovere la mia attività di agente immobiliare. E lì, per la prima volta, ho preso atto di un difetto e faticato ad accettarlo. Riguardando i primi video mi sono vista in bocca una manciata di denti storti e quella cosa è diventata un complesso. Alla fine, ho messo l’apparecchio». Dopotutto, dice, la bellezza può anche essere pericolosa perché ti rende oggetto del desiderio narcisistico di un uomo. «È più facile raggiungere la felicità se sei un po’ bruttina, perché sei costretta a costruirti da dentro».

Bellezza, per me, è l’allegria che viene da dentro

Francesca Tumiati, 68 anni, giornalista e scrittrice, autrice del libro Un’allegria di troppo (Feltrinelli).

«La bellezza per me è stata luce: l’energia che viene da dentro, l’allegria. Tutto è iniziato quando il mio corpo adolescenziale aveva cominciato a farsi femminile, portandosi dietro non solo il desiderio di bellezza ma di fare della bellezza uno strumento di seduzione. Per riuscirci serve la natura e un po’ di lavoro: i pomelli rossi, la gonna corta. E poi i colpi di sole. A 17 anni sono andata dal più bravo parrucchiere di Milano, sono entrata castana come i portoni d’autunno e sono uscita bionda come Marilyn. Avevo un bel fisico e una faccina di coriandolo che ho colorato di scintille. Occhi che ridono, denti bianchi, capacità di apparire e scomparire. Non ero la più bella del liceo, ma quella più seduttiva».

Dove sei finita bellezza?

Sono cresciuta all’ombra di una madre pirandelliana che diceva: “Avvolgetemi in un lenzuolo nero dopo la mia morte, prima mi bastano tre gonne”. Io invece arrivavo alle feste con il kilt e lo stivalone da acchiappo. È stato il gioco più divertente della mia vita». Un gioco che, dice, è durato tantissimi anni. «Poi, un giorno, non saprei dire quale, avrò avuto 55 o 56 anni, la luce si è spenta: mi sono guardata allo specchio mentre mi truccavo, ho chiamato la bellezza e la bellezza non si è presentata. La magia non funzionava più. Da lì a qualche giorno ho sentito un gruppo di maschi bisbigliare: “Quella è stagionata”, riferendosi a me. All’inizio ti senti orfana. E poi ci sono i figli, terribili. La mia piccola dice: “Quanto rossetto ti sei messa, mamma? ”.

La verità è che sono rimasta dipendente dai pomelli rossi ma finalmente libera dall’obbligo di accendere la bellezza con i vestiti, con le calze a rete, con la chirurgia. E mi è rimasta l’allegria che per tutta la vita è stata la chiave della seduzione