«Il davanzale è diventato la mia scrivania: il mare da una parte, le colline dall’altra, case arroccate, silenzio nei vicoli, smartphone senza segnale. Imparo così un altro modo di vivere». Ian Bugarin, 27 anni, studente di Architettura di origini spagnole e filippine che vive tra Glasgow e Londra, racconta così il suo Belmonte Calabro, il borgo in provincia di Cosenza con meno di 2.000 abitanti e un destino comune a tanti altri luoghi periferici: lo spopolamento.
Proprio adesso che l’Italia e il mondo intero sono stretti nella morsa delle restrizioni anti-Covid, questo luogo speciale sta attraversando invece la sua fase di rinascita. Grazie a Ian e altri studenti dalla facoltà di Architettura della London Metropolitan University: da ottobre stanno vivendo qui il loro lockdown, come congiunti, tra i vicoli e le terrazze di un luogo incantevole e fuori dal tempo, ricreando una normalità impensabile altrove, lavorando e studiando da remoto ma senza rinunciare alla socializzazione.
South Learning
L’iniziativa che coinvolge il borgo calabro si chiama South Learning ed è stata ideata da “La rivoluzione delle seppie”, un’associazione che vuole creare sinergie per stimolare la riattivazione sociale, culturale e urbana di territori marginali, come appunto Belmonte Calabro. Dal 2017, due volte l’anno, per qualche settimana, gli studenti, come in un campus diffuso, abitano le case del borgo, usano i laboratori degli artigiani locali, studiano e lavorano in coworking nell’ex convento, un immobile avuto dal Comune che nel frattempo stanno ristrutturando.
La pandemia ha dato un nuovo input al progetto perché i ragazzi hanno deciso di restare qui per qualche mese in pianta stabile visto che le università sono inaccessibili è l’alternativa sarebbe stare da soli davanti al computer. Il collegamento tra Belmonte e l’università londinese si chiama Rita Elvira Adamo, fondatrice dell’associazione ed ex studentessa a Londra. «Nel 2016 ho convinto i docenti del dipartimento di Architettura a sperimentare una nuova forma di apprendimento collettivo e pratico nella mia terra d’origine: volevo fare qualcosa per questo luogo legato ai miei ricordi d’infanzia e così in pericolo» racconta. «Dopo la prima spedizione tutti sono rimasti incantati da Belmonte e il dipartimento ha deciso così di avviare delle classi di ricerca stabile proprio qui».
Belmonte, un borgo da scoprire
Incantarsi a Belmonte Calabro, del resto, è facile. «Questo non è solo un borgo, è qualcosa che scopri continuamente» spiega Ian. «È piccolo e sai cosa aspettarti eppure riesce sempre a sorprenderti. Se mi perdo nelle stradine finisco per scoprire un giardino segreto di fichi d’India. Ogni giorno vado a prendere un caffè al bar di Susi che, come una seconda mamma, ci rimprovera se cantiamo a voce troppo alta ma poi ci dà sempre una mano con il bucato. E un giorno ci trovo Max, un curatore d’arte di Berlino. Ecco, questo paese è così, una sorpresa continua».
Ed è anche un paese fortunato perché gli studenti negli anni hanno già ristrutturato una sala della biblioteca comunale, portato il wi-fi nell’ex convento, creato nella zona marina un laboratorio in un rimessaggio di barche, convinto le istituzioni a istallare un bancomat, creato eventi e festival di richiamo internazionale, risollevato l’economia di bar e locali del centro e coinvolto gli abitanti con il loro entusiasmo e la loro presenza.
Gli studenti attirano altre “energie”
Soprattutto hanno attirato altre “energie” come quelle di Orizzontale, collettivo romano di architetti, e dell’organizzazione locale indipendente Ex Convento. Tutti insieme adesso vogliono riportare in vita l’ex convento che è la memoria storica del paese perché i più anziani qui frequentavano la scuola. E qui adesso c’è tanto fare: pavimenti, bagni, aperture. Ognuno dà una mano, anche gli artigiani locali.
Come Giovanni Bruni, 38 anni, che dalla bottega di restauro della sua famiglia si è ritrovato a scartavetrare e dipingere con studenti mediorientali e professori inglesi. «Io ho insegnato loro come restaurare gli infissi ma loro hanno insegnato a me molto di più» racconta. «Mangiando un panino con Dariush, iraniano che vive a Parigi, ho imparato per esempio tante cose sulla cultura e la storia dell’Iran che prima percepivo solo come un luogo di estremismi. Non potendo viaggiare molto, soprattutto in questo periodo complicato, è come se il mondo fosse venuto da me ad aprirmi la mente e gli orizzonti».
A Rajib Hossain, 20 anni, immigrato dal Bangladesh, Belmonte ha aperto anche il cuore. «La mia è la storia triste di tanti immigrati: le vicissitudini dal mio paese alla Libia, la lunga prigionia, un viaggio pericoloso, la famiglia lontana. A Belmonte è come se fossi rinato». Rajib lavora come mediatore culturale alla cooperativa sociale “Il delfino di Cosenza” che lo ha accolto al suo arrivo. Qui, Rita e “le seppie” sono venuti a chiedere una mano perché a Belmonte non sono rimasti più giovani che potessero aiutare con i lavori. «Vivere una settimana con ragazzi di tutto il mondo per me è stata un’esperienza incredibile» continua Rajib. «Loro, così istruiti e colti, hanno ascoltato la mia storia con lo stesso interesse con cui io ho ascoltato la loro. Hanno imparato da me come lavorare il legno e io ho imparato da loro l’arte della fotografia, ho seguito i seminari di design. Tutti mi hanno accolto come un fratello. E poi Belmonte sembra un paradiso, con l’aria così pulita, mare e montagna a un solo chilometro di distanza. Un posto dove godersi davvero la vita. E per questo l’ho ribattezzato Belmondo».
«Qui è molto meglio dell’Erasmus che ho fatto ad Amsterdam e Copenaghen»
Belmondo, adesso, è il nuovo nome dell’ex convento e della campagna di crowdfunding lanciata per completare i lavori (eppela.com/casa dibelmondo). «Vogliamo farne il nostro quartier generale e aprirlo agli studenti di tutto il mondo» spiega Rita. «L’idea è quella di vivere questo borgo e studiare progetti non necessariamente da realizzare ma che servano a riflettere su nuovi modelli di architettura e metodologie di studio».
Uno studio che nasce non solo dal confronto con professionisti che hanno diverse esperienze e si ritrovano qui ma anche con persone del luogo di diversa età e background culturale. «Prima di arrivare qui ho detto alla mia famiglia che andavo in Erasmus in Calabria. E loro, che hanno vissuto in Italia, si sono messi a ridere» dice Ian. «Eppure qui è molto meglio dell’Erasmus che ho fatto ad Amsterdam e Copenaghen: lì ho vissuto da turista e i miei amici erano altri studenti della mia università o altri spagnoli. Qui è diverso. Uniamo le forze con la gente del posto, ci confrontiamo, condividiamo la quotidianità, dal metro per prendere le misure al coltello per tagliare il pane. Viviamo una sorta di ibrido e informale spazio pubblico e domestico che arricchisce tutti».
Confronto e convivenza hanno ha già dato i loro frutti, e non solo sul piano dello studio e del lavoro. «Gli studenti hanno portato vitalità in un centro storico ormai spento e qui la gente ha aperto gli occhi su tante cose» racconta ancora Rita. «Il nostro scopo era la rigenerazione urbana ma ne abbiamo provocata anche una culturale e sociale. La gente impara l’inglese dagli studenti e ha cambiato il modo di vedere gli stranieri, immigrati compresi. Inizialmente erano molto diffidenti, quando li vedevano insieme a noi storcevano il naso o stavano distanti. È facile nei piccoli centri credere ai pregiudizi o farsi influenzare dai media. Ma quelli che prima erano gli immigrati ora sono semplicemente Rajib e Amid, perché la gente li conosce, abbiamo lavorato, riso, cantato, vissuto la quotidianità tutti insieme. Questa è la vera inclusione». E questo è davvero il “bel mondo”.
Gli altri esempi di borghi ritrovati
Borghi del Sud che scongiurano l’abbandono trasformandosi in comunità artistiche, laboratori di idee, esperimenti formativi. Esistono altre buone pratiche come quella di Belmonte Calabro. Eccone alcune.
• Casso (Pordenone), un borgo abbandonato dopo la tragedia del Vajont, è rinato grazie a Dolomiti contemporaee, un progetto che ha lo scopo di riportare in vita i luoghi simbolo con eventi culturali (dolomiticontemporanee.net).
• A Succiso, un paesino all’interno del Parco nazionale dell’Appennino tosco- emiliano, i pochi giovani rimasti si sono riuniti in una cooperativa di comunità che ha valorizzato l’identità culturale del luogo e l’ha promossa a scopo turistico, creando nuovi posti di lavoro (valledeicavalieri.it).
• A Favara (Agrigento), il Farm Cultural Park rappresenta un modello di rigenerazione urbana: un gruppo di artisti ha ripopolato un intero quartiere disabitato creando un museo diffuso e un centro di sperimentazioni artistiche di richiamo internazionale (farmculturalpark.com).
Foto di Rossella Santosuosso