È la rivoluzione ai tempi del Covid-19. Succede in Bielorussia, la “Corea del Nord europea”, ex Stato dell’Urss dove al potere c’è da 26 anni lo stesso uomo: Alexander Lukashenko. E dove le elezioni del 9 agosto, che lo hanno riconfermato per la sesta volta alla presidenza tra accuse pesantissime di brogli, hanno fatto da detonatore alla rabbia per l’immobilità del governo di fronte all’emergenza coronavirus.
I giovani si mobilitano in piazza e sui social
La società civile, che si era rimboccata le maniche per creare reti di solidarietà contro la pandemia, si è scoperta organizzata e coesa. E così nelle ultime settimane fiumi di persone sono scesi nelle strade della capitale Minsk, e non solo, con scioperi e proteste pacifiche soffocate dalla repressione del regime. Ormai si contano migliaia di arresti, denunce di torture, morti e violenze. La sfidante dell’opposizione, Svetlana Tikhanovskaya, è fuggita nella vicina Lituania. «Non è la prima volta che accade» ricorda Eleonora Tafuro Ambrosetti, analista esperta in Russia e Caucaso dell’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale. «Nel 2010 un altro candidato presidenziale, Andrei Sannikov, era stato incarcerato e poi rilasciato soltanto grazie alle pressioni internazionali». Dieci anni dopo protagonisti e contesto – Lukashenko a parte – sono molto cambiati. Oggi i giovani bielorussi, soprattutto quelli delle città, fanno nascere startup tecnologiche e sanno usare la Rete per aggirare la censura, proprio come i loro coetanei delle primavere arabe. «Il ruolo dei nuovi media è fondamentale» spiega Tafuro Ambrosetti «soprattutto in Paesi non democratici come la Bielorussia, dove i canali di Stato trasmettono documentari naturalistici mentre ci sono battaglie per le strade, appena fuori da casa tua».
Russia e Ue dovranno farsi sentire
Le informazioni sulle proteste e le testimonianze sugli abusi corrono soprattutto su Telegram, app di messaggistica istantanea ironicamente sviluppata in Russia. «Qui i cittadini possono esprimersi liberamente, visto l’elevato livello di privacy» dice l’analista. Grazie al canale Telegram Nexta, apertamente legato all’opposizione e il cui coordinatore – il giornalista Stepan Putilo, fuggito in Polonia da anni – è nella lista dei “most wanted” di Lukashenko, gli attivisti riescono a far uscire dal Paese i video censurati dalle autorità. Di fronte a queste immagini l’Unione europea ha rifiutato di riconoscere il risultato delle elezioni e annunciato nuove sanzioni (tra cui il blocco di 53 milioni di euro già destinati al Paese). «È un modo prudente per intervenire nella situazione. Negli ultimi mesi Lukashenko sembrava essersi allontanato dalla Russia per avvicinarsi all’Europa» conclude Tafuro Ambrosetti. «Ora la situazione si è di nuovo ribaltata, e lui ha addirittura chiesto al Cremlino un aiuto militare. Putin, però, potrebbe essere più interessato ad assicurarsi un successore meno imprevedibile, allineato ai propri interessi e che, perché no, potrebbe non dispiacere neppure all’Europa».