Binge eating: un nome brutto e difficile da pronunciare per il disturbo alimentare che mi accompagna da circa vent’anni. Per molto tempo Lui ha condizionato completamente la mia vita. Ha scelto al posto mio, ha definito chi ero e mi ha annientata. Il binge eating è la mia malattia. Il cibo la mia ossessione.
Era la prima cosa a cui pensavo appena sveglia e l’ultima quando mi addormentavo. Mentre facevo colazione progettavo lo spuntino di metà mattina e il pranzo. Durante il pomeriggio mi arrovellavo immaginando cosa preparare per cena. Anche quando facevo altro, al lavoro o con le amiche, il cibo era onnipresente. Qualsiasi altro pensiero si appoggiava su pagine già scritte nella mia testa e perdeva senso, lasciandomi indifferente.
Le abbuffate mi colpivano come uno schiaffo all’improvviso. Un minuto prima ero apparentemente tranquilla, magari seduta sul divano a leggere o a guardare la televisione. Un minuto dopo mi stavo ingozzando senza dignità e non avevo idea del perché. Sapevo perfettamente che non avrei dovuto e che dopo sarei stata malissimo ma era un istinto, qualcosa di animalesco che non riuscivo a bloccare.
Per anni ho pensato che fosse colpa mia e della mia debolezza. Mi ripetevo di non avere carattere, di essere un’inetta: cosa mai può meritare dalla vita una che mangia due interi pacchi di biscotti anche quando è talmente sazia da sentire che potrebbe scoppiare? Pensavo: è davvero così difficile fermarsi? Possibile che sia così stupida e fragile?
Poi mi sono convinta che il binge eating fosse il mio “vizio”. A qualcuno capita l’alcool, a qualcun altro la sigaretta. A me era toccato il cibo. Così era la vita e io dovevo rassegnarmi.
Gli anni passavano, il mio peso oscillava costantemente, le abbuffate continuavano. Aspettavo di farci l’abitudine, ma non è mai successo e di questo pian piano ho cominciato a farmene un merito. Sentivo che dovevo e potevo arrestare questa cosa che mi stava divorando. Probabilmente non ne sarei mai morta, non fisicamente almeno. Eppure in qualche modo mi avrebbe uccisa, anzi lo stava già facendo da parecchio tempo.
Purtroppo la mia isola, la Sardegna, non era e non è dotata di centri di cura per i disturbi alimentari e credevo che iniziare una psicoterapia sarebbe stato inutile: cosa mai avrebbe potuto dirmi una psicologa se non di smettere di mangiare? Non ero pazza, solo viziata, pensavo. Poi all’ennesima abbuffata e alla successiva devastante crisi in cui ho creduto di non essere degna di stare al mondo ho deciso di provarci.
E sorpresa: la terapia sta funzionando. Merito di una bravissima psicologa e anche merito mio. Non posso dire di aver vinto completamente, non ancora. Le abbuffate non sono sparite. Magari fosse così semplice. Però ho capito che il binge eating fa parte di me e che lo posso accettare. Questo non implica una rassegnazione.
Ho realizzato che l’impulso di aprire il frigorifero e di svuotarlo in cinque minuti è un sintomo che in quel momento qualcosa non va, che sto male o sono in ansia per qualche motivo: un segnale di allarme che mi suggerisce di prendermi cura di me stessa e di trovare una soluzione per aiutarmi.
Fermarmi a riflettere sulla causa di ogni mio malessere e riconoscere le mie emozioni è forse una delle cose più difficili che abbia fatto nel corso dei miei 37 anni. Interrompere quella forza incredibile che spegne ogni mio pensiero e mi porta a ingurgitare cibo a velocità incredibile è un lavoro di una difficoltà talmente grande che lascia senza fiato. Ci vuole tanto esercizio, impegno e allenamento.
Ci sono giorni in cui vinco io, altri in cui vince il binge e allora mi abbuffo. Ci vorrà ancora tempo e probabilmente non basterà. Probabilmente a 80 anni sentirò ancora l’istinto di mangiare tre chili di tiramisù in cinque minuti: spero che quando succederà lo sopporterò perché avrò imparato a farlo. Avrò imparato ad amarmi. Questo è il mio obiettivo nella vita, quello più importante. Tutto il resto viene dopo: la serenità, la salute, famiglia e amici, il lavoro. Io sono la mia priorità.
Devo essere la mia migliore amica e so che se ci riuscirò comincerà la discesa. Non vedo l’ora di farcela.
(testimonianza di Francesca Pola)
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