«Fatemi compagnia mentre apro la mia blind box»: iniziano così quasi tutti i contenuti della mia home su TikTok. Video dopo video, centinaia di ragazze euforiche spacchettano le stesse buste in plastica per scoprire quale peluche hanno comprato, alla modica cifra di 20€, 30€ o anche più di 50€. Quella per le blind box – “scatole cieche”, il cui contenuto è appunto a sorpresa – è una vera ossessione, e ha presto conquistato anche me.
Mi sono bastati pochi minuti su Pinterest, Instagram e TikTok per ordinare il mio primo Sonny Angel, un accessorio per il telefono a forma di cherubino che può avere diversi cappellini fantasiosi a seconda dell’edizione (e del personaggio che capita). Il mio si chiama Pomme, indossa una piccola mela rossa e arriva dalla Francia, perché in Italia non ci sono rivenditori autorizzati.
Tra spedizione e costo effettivo ho speso circa 20€, e in poco tempo ho seguito le orme delle influencer di TikTok ordinandone subito altri fino ad ottenere una piccola collezione di accessori tanto carini quanto inutili. Ma cosa c’è dietro a questa ossessione diffusa?
Cosa sono le blind box?

Cominciamo dal principio. Le blind box, infatti, non sono una vera e propria novità: il fenomeno dell’acquisto di gadget a scatola chiusa torna a fare tendenza ciclicamente. Nei primi anni Duemila, per esempio, gli accessori del momento erano i portachiavi con le scimmiette Kipling, oppure i Cucciolotti.
Ad accomunare i trend di ieri e di oggi non è solo la modalità di vendita, ma una serie di caratteristiche che possono apparire casuali. Tutti questi prodotto vengono infatti lanciati sul mercato con una serie di edizioni speciali a tempo limitato e ogni collezione presenta dei personaggi «segreti» (elementi rari, che solo pochissimi fortunati potrebbero ottenere). Mentre le blind box di allora si potevano acquistare nel supermercato di fiducia o in macchinette presenti in quasi tutte le città, oggi sono pochissimi i rivenditori autorizzati dai brand.
Labubu e Sonny Angel: le blind box conquistano tutti
I Sonny Angel, gli adorabili cherubini che oggi si abbinano a quasi tutti i miei dispositivi tecnologici arrivano dal Giappone. Nascono come una sorta di anti-stress, per aiutare i bambini ad addormentarsi proprio come dei veri angioletti custodi.
Molto diversa è invece la storia dei Labubu, la vera ossessione del momento. Questi peluche, che oggi adornano le borse di celebrità del calibro di BigMama e della star del K-pop LaLisa, sono ispirati a personaggi ideati da Kasing Lung, un disegnatore di Hong Kong cresciuto in Olanda. Influenzato dal folklore nordico, Lung si è ispirato alle favole e ha dato vita a questi piccoli mostri (tra i suoi personaggi, Zimomo, Pato, e Labubu, il protagonista).
Se i Sonny Angel cambiano copricapo a seconda dell’edizione e a seconda del personaggio, i Labubu variano per forma e colore: ci sono i portachiavi, i porta cellulari, i soprammobili e persino dei semplici peluche. I Sonny Angel si aggirano tra i 10 e i 15€, i Labubu invece non scendono sotto i 30€ e sono acquistabili facilmente in tutti i punti vendita Pop Mart, da mesi presi d’assalto.
Gli altri personaggi: Hirono, Monchichi, Sylvanian Family

Accanto ai popolari Labubu e Sonny Angel cominciano a vendere gadget con le blind box anche brand (e personaggi) che conosciamo bene, come Hello Kitty e Miffy, e creature immaginarie che arrivano da lontano come Hirono, nato dalla penna del disegnatore inglese Lang con l’obiettivo di rappresentare le complessità dell’animo umano.
Hanno avuto sorte diversa invece Moncchichi e Sylvanian families, popolarissimi giochi per bambini degli anni Novanta che oggi – grazie alle blind box – sono tornati in auge.
Labubu obsession: le ragioni neuroscientifiche
Ma per passare da semplice tendenza a vera e propria ossessione serve di più. Me lo conferma Beatrice Ferraresi, studentessa di neuroscienze che si occupa di divulgare la sua materia sui social (soprattutto TikTok, dove conta quasi 18.000 followers): «La dinamica dietro al fenomeno delle blind box è la stessa del gioco d’azzardo, ma anche del cibo spazzatura e dei social media. Si chiama sistema della ricompensa e si tratta semplicemente del modo in cui il nostro cervello percepisce motivazioni, piaceri e desideri e reagisce in modo da assicurarci la sopravvivenza e il più alto grado di benessere».
Blind box e sistema della ricompensa
Il sistema della ricompensa coinvolge diverse aree cerebrali, tra cui Nucleus Accumbens, l’amigdala, l’ipotalamo e la corteccia prefrontale. «Nel caso delle blind box, quindi, il rilascio di dopamina avviene al momento dell’apertura del packaging, quando cominciamo ad avere aspettative su quello che troveremo», continua l’esperta. È proprio nel momento dell’attesa che avviene il rilascio della dopamina, che comincia invece a calare una volta scoperta la sorpresa. Ecco perché il packaging di questi oggetti è estremamente importante: è curato nei minimi dettagli e spesso prevede più di una sola busta, ma anche diverse scatole e custodie.
E in caso non dovessimo ottenere la figura che vogliamo o, terrore di ogni collezionista, ottenessimo un “doppione”? Paradossalmente, saremmo portati in ogni caso a continuare a tentare, a spendere ancora di più. «Il cervello non solo non è bravo a calcolare le reali probabilità legate alla vittoria (e quindi, per esempio, rendersi conto dei soldi che stiamo spendendo, ndr) ma tende a concentrarsi sul ricordo della soddisfazione», spiega Beatrice. «Quindi memorizziamo di più lo shot dopaminergico rilasciato all’apertura della scatola rispetto alla delusione che abbiamo provato scoprendo di non aver ottenuto quello che desideravamo».
Blind box, il capolavoro del neuromarketing

E ancora, il rischio di spendere soldi inutilmente è una delle maggiori spinte all’acquisto. «L’ottenimento di ricompense imprevedibili e casuali ci porta in una dinamica detta di rinforzo variabile: è più efficace mantenere un comportamento nel tempo (in questo caso, l’acquisto), se ogni volta non si ha la sicurezza di quello che si otterrà», spiega l’esperta. «È come se si rimanesse sempre in uno stato di attesa e anticipazione».
«Ovviamente, se dopo tanti tentativi si continua a non ottenere nulla è più probabile si cominci a smettere, ma qualora ad ogni serie di acquisti sia assicurata una buona riuscita, si rischia cadere nel comportamento compulsivo, perché il cervello memorizza quest’azione come positiva in virtù della dopamina che rilascia».
Sono proprio le caratteristiche delle blind box – dal sistema dei personaggi segreti all’esclusiva dei punti vendita – a renderle così irresistibili. «È un vero capolavoro di marketing, perché gioca su corde che ci toccano facilmente tutti. Percepiamo l’acquisto di questi oggetti come un’azione da fare nel minor tempo possibile, perché poi potremmo rischiare che finisca l’edizione attualmente in commercio o di non trovarli più in negozio».
Dietro a questi prodotti c’è uno studio del cervello tanto perfetto da risultare quasi spaventoso. «Il personaggio segreto della serie altro non è che un ulteriore inganno per i nostri cervelli, che percepiscono la delusione della percepita perdita molto più della soddisfazione della vittoria. Se otteniamo una collezione completa e sappiamo che ci mancano solo pochi pezzi, il nostro cervello percepirà come un fallimento la nostra rinuncia al completamento».
Social e FOMO da blind box
«Ovviamente tutti questi processi di marketing ci sono sempre stati», spiega Beatrice. «Ma oggi tutto questo si inserisce nella cornice dei social, che aggravano ulteriormente la situazione». Tutti quei video che si susseguono da mesi sui social ci provocano infatti emozioni intense, soprattutto se la persona che mostra il suo acquisto è straordinariamente euforica. Questo accade soprattutto nel caso di chi trova i personaggi segreti. «Questo è dovuto al lavoro dei neuroni specchio, che ci portano a reagire e pensare di voler provare anche noi la stessa sensazione».
E ovviamente entra in gioco anche la FOMO, che io (come tutti i miei coetanei) conosco molto bene. «Ovviamente le reazioni sono soggettive, ma è logico che vedere così spesso un prodotto amato da tutti ci porta a chiederci come possiamo averlo anche noi».
Blind box: quando bisogna preoccuparsi?
Queste dinamiche non nascono con Sonny Angel e Labubu, ma ci rendono vittime del marketing sin dalla notte dei tempi. Conoscerle è il primo modo per allenarci a reagire razionalmente, soppesare le spese e chiederci quale sia la reale utilità di questi accessori. Nulla ci vieta di toglierci qualche voglia, partecipare alla moda del momento e scegliere il personaggio che fa per noi, ma quando da pochi euro si passa a decine (o centinaia), è il caso di farsi qualche domanda sulle reali cause di questo bisogno.
«Solitamente, dopo una serie di acquisti a somme elevate, la conseguenza ultima è quella del rimorso», spiega ancora Beatrice. «Nel momento in cui ci si ferma, magari perché la collezione è completa o perché finiamo i soldi, il cervello ci mette davanti alla cruda verità, in questo caso la spesa esagerata (e inutile)». Cosa fare allora? «È qui che bisogna trovare la forza di fermarsi, altrimenti il rischio è quello di cercare un’altra serie da cominciare (e completare), e finire così in un circolo davvero preoccupante».