Ancora oggi noi donne non riusciamo ad accettarci come siamo. Sappiamo bene che gli standard sono una costruzione arbitraria eppure ne siamo tutte prigioniere. Dall’America arriva sulla piazza di Milano – primo appuntamento europeo – il movimento Body Positive: ragazze di tutte le taglie capitanate dalla influencer Laura Brioschi che coraggiosamente sfilano in piazza Duomo in lingerie. Davanti a tutte Benedetta de Luca, giovane avvocato con una malattia rara che l’ha resa disabile. Il messaggio è coraggioso: «Soffrire per il proprio aspetto è sbagliato, andate bene così come siete». E Benedetta e le altre sono sì coraggiose: mettersi in piazza, al sole, in slip e reggiseno, ognuna con la sua “diversità” (dai chili in più alla cellulite alla carrozzina) è uno schiaffo ai canoni estetici dominanti, e una mano tesa a chi l’autostima non sa neanche cosa sia: “L’autostima è un po’ come un muscolo, basta allenarla giorno dopo giorno, e se ci sono riuscita io, potete riuscirci anche voi!» scrive Benedetta nel suo profilo Instagram su cui macina like e follower esaltando – giustamente – i suoi punti di forza.
Un bell’esempio per quanti faticano ad accettarsi. Il movimento e la filosofia del Body Positive sono nati infatti con lo scopo di insegnare alle persone ad accettarsi. Solo che il tutto ha finito per rivolgersi esclusivamente alle donne, le più rappresentate secondo canoni per la maggioranza irraggiungibili, e quindi le più portate a essere insoddisfatte del proprio corpo. Una ricerca condotta nel 2016 della American Psychological Association, comparando 250 studi effettuati tra il 1981 e il 2012, conferma come le donne siano molto più scontente del proprio corpo rispetto agli uomini, e come questo tipo di sentimento porti spesso allo sviluppo di disordini alimentari e perfino alla depressione.
Il fatto è che, ancora una volta, si riduce tutto al corpo e all’aspetto fisico, quindi a una questione di bellezza. Non importa che tu sia magra, grassa, che abbia i fianchi larghi o stretti, le smagliature o il seno piccolo, la pancetta o il nasone: vai bene così come sei. Peccato che la moda, nonostante i proclami, non abbia mai fatto abbastanza: chi ha smesso di usare Photoshop sulle proprie modelle, ha comunque continuato a selezionarle secondo gli ormai tradizionali canoni di bellezza. A un certo punto, poi, si è passati a utilizzare esempi di bellezza imperfetta, che si distinguono per un dettaglio disturbante, fuori posto. Ma questo non tanto per diffondere il messaggio del Body Positive, quanto perché ormai bisogna emergere. Ed ecco che le sopracciglia alla Frida Khalo di Sophia Hadjipanteli o la pelle con la vitiligine di Winnie Harlow, più che un invito all’identificazione, diventano una galleria di fenomeni da ammirare come in un safari. Non vengono sdoganati i difetti, ma spettacolarizzati.
La vera via per prevenire discriminazione, bullismo e infelicità per il proprio aspetto è un’educazione che parta dall’infanzia e insegni che le diversità sono normali. E soprattutto non sono relegate alla sfera estetica, anche se oggi ci nutriamo di immagini, ci esprimiamo per immagini, ragioniamo per immagini. Forse, oltre ad aspirare a essere più belle – cosa che abbiamo tutte il diritto di desiderare – dovremmo aspirare anche a migliorare la nostra cultura, il nostro carattere. Insieme all’obiettivo di perdere qualche chilo, proviamo a desiderare di concederci più tempo per visitare qualche mostra, magari riuscire a essere più generose o imparare a prenderci meno sul serio. Se cominciamo a pensare che siamo imperfette anche dal punto di vista del carattere, forse accetteremo meglio anche le altre imperfezioni. E, viceversa, lavoreremo meglio sui nostri “difetti” estetici, perché faranno parte di un “pacchetto” unico: noi stesse.