Il dialogo su temi sociali come la body positivity e l’inclusione oggi si svolge nell’agorà digitale, ovvero sui social. E come ha messo in luce una recente ricerca Ipsos, in collaborazione con l’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing, questo può portare a una dicotomia, a un conflitto interiore.
In pubblico tutti per la body positivity, in privato no
Da un lato, c’è la coscienza sociale che accoglie il movimento come una rivoluzione dirompente i cui valori sono condivisibili e positivi; dall’altro, fa capolino la sfera individuale in cui la percezione di noi stessi e del nostro corpo ancora ambisce alla bellezza stereotipata.
L’imperativo dell’essere bella resiste ancora
Nonostante la body positivity in questi anni abbia “allargato” le maglie del modello di bellezza, continua a valere l’imperativo dell’essere bello. Per superare questa duplicità, non dovremmo sforzarci di essere così self confident da poter definire, per esempio, le nostre smagliature «le mie nuove storie» come ha fatto la modella curvy Ashley Graham, commentando le striature bianche e rosse apparse dopo la prima gravidanza. Dovremmo invece non occuparci di quelle smagliature, uscire cioè da quel paradigma, da quel lessico, sostituire la parola bellezza con altri termini come fascino. La vera rivoluzione non è tanto dire «Sono grassa ma sono bella», piuttosto «Perché devo essere per forza bella?».
All’uomo non si perdona d’invecchiare
Proprio quello che, se ci pensiamo, succede già nel mondo maschile. C’è un testo molto bello di Susan Sontag, del 1972, dedicato al “doppio standard dell’invecchiamento”, in cui la scrittrice e filosofa americana sostiene che alla donna non si perdoni di invecchiare, di non essere più bella, mentre un uomo anziano può essere percepito come attraente proprio per l’esperienza che ha accumulato. Ma per noi questo non vale. Perché non siamo in grado di applicare alla donna l’idea di un fascino che non si sprigioni direttamente dalla conformità a un ideale fisico.
Dobbiamo educare le ragazze ad avere più modelli
Se l’obiettivo è smantellare la bellezza come valore fondamentale per stare al mondo in quanto donna, far sì cioè che essere bella non sia più il requisito essenziale per esistere in questa società, dovremmo educare le nostre figlie senza schemi, stabilire un nuovo modo di relazionarci con gli altri, iniziando a pensare che la bellezza non garantisce automaticamente riconoscimento, amore. E prendere esempio dalla Generazione Z, che su questo è avanti. Perché le adolescenti di oggi hanno più modelli, più idee di bellezza e si sentono belle in tanti modi. Non si tratta di negare gli eventuali difetti del proprio corpo, non c’è nessuna volontà di rimuovere, cancellare, minimizzare, livellare. Si tratta di abbattere i canoni, di allargare così tanto le maglie del concetto stesso di bellezza da spezzarle. Per sentirsi libere. E finalmente, affascinanti.
di Ilaria Gaspari, filosofa (testo raccolto da Marta Bonini)