Da quando l’Oxford English Dictionary lo ha scelto come parola del 2024, il Brain Rot è diventato un termine virale a tutti gli effetti. Si traduce letteralmente come “cervello marcio” ed è un neologismo che indica il «presunto deterioramento dello stato mentale o intellettuale di una persona, visto soprattutto come risultato di un consumo eccessivo di materiale (in particolare di contenuti online) considerato banale o poco impegnativo». Insomma, l’effetto diretto delle abbuffate internet e da social.

Cos’è il Brain Rot e perché se ne parla

Il Brain Rot, ormai sdoganato ufficialmente come termine anche dal prestigioso Oxford English Dictionary, non è una novità per gli utenti di internet e, in particolare, dei social. Non a caso su TikTok ci si imbatte nell’hashtag #brainrot per definire video senza senso, visualizzati magari da milioni di persone per il solo gusto di perdere tempo, ma senza una reale utilità o interesse. La vera novità, però, è la preoccupazione che sta aumentando intorno al consumo smodato di questo tipo di contenuti, che avrebbe effetti dannosi per il cervello.

Il quoziente intellettivo sta diminuendo

I contenuti di scarsa qualità ai quali si può essere esposti sono presenti sia in tv e sui giornali, sia soprattutto su internet e, in particolare, sui social. Il loro effetto sarebbe dunque negativo, tanto da portare il cervello a “marcire”. «Diversi studi dimostrano come queste nuove modalità di interazione vadano ad appiattire il quoziente intellettivo, che infatti appare in diminuzione, specie nelle nuove generazioni», spiega Simona Cintoli, psicologa collaboratrice presso l’Istituto di Neuroscienze del CNR di Pisa e il Centro per i disturbi cognitivi e demenze, della AOUP Neurologia di Pisa.

Gli altri effetti del Brain Rot

«Le conseguenze di questi cambiamenti possono essere ad ampio spettro – spiega ancora Cintoli – Ad esempio, molti dati indicano sta diminuendo un’altra capacità cognitiva molto importante per l’essere umano: si tratta della cognizione sociale, inserita anche nel DSM, il manuale di riferimento delle psicopatologie. È la capacità che ci permette di entrare in relazione con l’altro, di provare empatia e avere giudizio sociale. È un’abilità che si sviluppa allenandola, quindi entrando in contatto con le persone, ma dal momento che la fruizione tecnologica e le interazioni a distanza stanno aumentando a discapito dei rapporti umani diretti, fisici, ecco che questa capacità si sta riducendo», sottolinea l’esperta.

Il Brain Rot da “abbuffate internet”

Secondo un report di GlobalWebIndex si trascorre in media almeno 1 ora e 46 minuti al giorno sulle piattaforme social: si inizia al mattino appena svegli, controllando i propri profili e account, per proseguire in ogni momento “libero” della giornata, che sia alla fermata dell’autobus o in coda al semaforo, per terminare solo alla sera, prima di andare a dormire. Da qui l’esplosione anche del fenomeno del Brain Rot, termine il cui uso secondo l’Oxford University Press è aumentato del 230% tra il 2023 e il 2024, a indicare la preoccupazione per i possibili danni al cervello dovuti proprio all’eccessivo utilizzo dei social.

Meno concentrazione e memoria

Uno dei primi effetti del consumo smodato di video e contenuti senza senso, reel e shorts è la maggior difficoltà di concentrazione: «Molte ricerche condotte sugli studenti evidenziano come i giovani risentono molto di un generale calo di attenzione, proprio a causa delle “abbuffate” di video e scrolling sui social. Si è osservato come a cambiare siano le onde cerebrali, con una diminuzione dei livelli di attenzione, maggiore difficoltà di concentrazione e maggiore affaticabilità», spiega Cintoli. Le nuove generazioni (Gen Z e Alpha) «appaiono meno brillanti da questo punto di vista, anche perché abituate a ottenere risultati con minore sforzo, grazie alle tecnologie». «Certamente si tratta di nuove modalità di funzionamento cerebrale: il nostro cervello si sta adattando, perché è plastico, e risponde in base alle esperienze e agli stimoli che riceve».

Brain Rot: quando anche il linguaggio è povero

La preoccupazione cresce, dunque, anche se «Questo non vuol dire che non si debba usare la tecnologia. Occorre, però, farlo in maniera intelligente, non esserne schiavi, non farsi guidare dagli strumenti, ma usarli in quanto tali, dominarli per non correre il rischio di impoverire il nostro cervello», sottolinea Cintoli. Il rischio, altrimenti, è proprio di andare incontro a una ridotta capacità di attenzione, a volte limitata a pochi minuti o secondi, a difficoltà nel comprendere il contenuto di testi più lunghi e complessi, ma anche di video che abbiano una durata maggiore rispetto a un reel, o ancora di esprimersi con un linguaggio che mima quello dei social, dunque più limitato.

Mantenere l’intelligenza analogica contro il Brain Rot

Per evitare queste conseguenze, «è importante mantenere la capacità tradizionale di ragionamento, quell’intelligenza, intuito e scintilla, che permettono di arrivare a un risultato in modo autonomo, senza ricorrere a strumenti tecnologici, che consentono di andare da un punto A a un punto C tramite passaggi logici. È quella forma di intelligenza che fa sì che troviamo una soluzione a un problema matematico, ma anche di vita quotidiana, senza ricorrere alla calcolatrice e alla tecnologia. A volte, invece, le nuove generazioni sembrano aver perso questa intelligenza e questo intuito», spiega l’esperta.