Mi ricordo che in quell’età in cui non si è né carne né pesce, diciamo intorno ai 10 anni, primaria preoccupazione di noi acerbe ragazzine era controllare costantemente la crescita del seno. Si sviluppa, non si sviluppa. Ce l’hai più grande tu, no, ce l’ha più prominente lei. Il tuo è rotondo, il mio a punta, il suo più largo. Analisi animata dalla costante speranza di vederlo alla fine sbocciare come da classica indicazione materna: «Il seno deve stare in una coppa di champagne!». Si studiavano le attrici al cinema come Sophia Loren in Ieri, oggi, domani o si sbirciava sui rotocalchi il bikini di Brigitte Bardot a Saint-Tropez, con reggiseno a balconcino fatto apposta per esaltarne le forme.

Il seno, oggetto del desiderio da ragazzine

Il seno era davvero l’oggetto del desiderio in quella strana età in cui seduzione e sessualità albeggiano vagamente all’orizzonte e nessuna aveva ancora mai sentito parlare del corpo delle donne in modo problematico come avverrà una manciata di anni dopo, quando le femministe per protesta daranno fuoco ai reggiseni. Né alcuna, assolutamente ignara della rivoluzione di Coco Chanel e delle flappers americane negli anni ’30, pronte ad affrancare il corpo femminile da bustini e biancheria varia, si sarebbe mai sognata di voler rimanere “piatta come un asse da stiro”.

Il look androgino sarebbe arrivato qualche anno più tardi con modelle e attrici come Twiggy, Jane Birkin, Françoise Hardy, Jean Shrimpton. In attesa di crescere, ci si limitava a sognare quelle due magnifiche rotondità, disegnandole sui corpi di signorine che copiavamo sui diari di classe dai fumetti di Flash Gordon, la cui fidanzata Dale Arden, tratteggiata da Alex Raymond, indossava corsetti con reggiseno a punta parecchio minacciosi. Proprio quelli che Jean-Paul Gaultier farà indossare a una spregiudicata Madonna per il tour Blonde Ambition nel 1990.

Madonna con il corsetto di Jean Paul Gaultier durante il tour Blonde Ambition. Credits: Getty

Breasts, una mostra dedicata al seno delle donne

Tutto questo amarcord per dare il benvenuto a Breasts, mostra collettiva fino al 24 novembre a Palazzo Franchetti a Venezia: 30 artisti che spaziano dalla pittura alla scultura, dalla fotografia al cinema, dal 1500 ai nostri giorni (breastsartexhibition.com). Protagonista il seno, fasciato nell’antichità, lasciato ballonzolare sotto la tunica nel Medioevo, esibito come un trofeo nei secoli a seguire, esaltato o negato a seconda della moda del momento.

Incontriamo così una magnifica tetta rosa in gommapiuma su velluto nero del provocatore Marcel Duchamp, il cui titolo dice Prière de toucher, preghiera di toccare. Un visionario Salvador Dalí trasforma i seni in due lumache con tanto di antenne. Louise Bourgeois in The Reticent Child ne richiama la funzione materna e di nutrimento. La francese Prune Nourry, sopravvissuta al cancro al seno avuto a soli 31 anni, presenta Oeuil Nourricier #6, scultura di un seno in vetro veneziano e bronzo a indicare la fragilità del corpo ma anche la forza della resilienza.

Prière de toucher di Marcel Duchamp, mostra sul seno
Prière de toucher di Marcel Duchamp (1947), Courtesy of Private collection, London
Untitled #205 di Cindy Sherman, mostra sul seno
Untitled #205 di Cindy Sherman (1989), Skarstedt Collection

Alla fine, oltre al Nudo di donna di Giorgio De Chirico, uno dei rarissimi nudi dell’artista, sono le parole della pittrice sperimentale Laure Prouvost a indicare la complessità del soggetto: «Il seno racchiude così tanti significati che ne sono affascinata: il circolo della vita, il potere soft, la Madre Terra, il ciclo di vita e morte, il legame con la vita animale attraverso l’allattamento e poi l’empatia con gli altri, come diventare altro da sé…».

Un’arma di libertà

Dalla divina bellezza della Venere di Milo alle Madonne medioevali che allattano il Bambino, simbolo di castità e maternità, dalle procacissime prostitute del settecentesco William Hogarth alle idealizzate “belles dames sans merci” dei Preraffaelliti, il décolleté si mostra, si intravede, si nasconde come massima espressione dell’eros femminile o della funzione nutritiva. Dovranno arrivare il XX secolo, la psicanalisi e le lotte femministe per trasformarlo in arma di libertà dal controllo patriarcale.

A partire dagli anni ’60 il topless diventa infatti simbolo della rivendicazione femminile e a sfoggiare per prima il monokini di Rudi Gernreich fu Peggy Moffitt, nel 1964, anche se negli Stati Uniti era ancora illegale. A dare una svolta fu però l’impresa di 7 ragazze di Rochester, che nel 1986 si presentarono in un parco in topless e furono arrestate: il gruppo presentò un appello che, nel 1992, diede loro ragione. Da quell’anno, infatti, New York ha concesso il diritto di stare in topless praticamente ovunque.

Il motivo per cui la Corte emise la storica sentenza è interessante: «Continuare a nascondere il seno non fa altro che rinforzare l’ossessione culturale verso di esso da parte di entrambi i sessi e scoraggia le donne dall’allattare i loro bambini». Non so se Madonna pensasse a questo quando in quel delizioso film che è Cercasi Susan disperatamente esibiva il suo seno rotondo e sodo, ombreggiato da top trasparenti, mentre scorrazzava baldanzosa per le strade di New York, immagine di un nuovo tipo di giovane donna pronta a seguire il proprio istinto e piacere.

Al tempo dei social

E oggi? I social media hanno creato un nuovo territorio per la battaglia sul corpo delle donne: il movimento #Freethenipple sfida la censura contro il nudo femminile chiedendo uguaglianza di genere e accettazione del proprio corpo in nome della body positivity. E la moda segue glorificando ogni tipo di seno. Grande, piccolo, XXL (vedi Kim Kardashian e la sua linea di biancheria intima Skims) o mignon, poco importa.

Se ancora qualche anno fa un sondaggio rivelava che l’82% dei maschi italiani propendeva per il sedere, le giovani, ma anche le attempate, si danno sempre un gran da fare per migliorarne l’appeal. Nel 2020 un gruppo di psicologi di 40 Paesi ha rivolto a 20.000 donne la seguente domanda: sei soddisfatta delle dimensioni del tuo seno? Solo 3 su 10 hanno risposto sì.

Julia Fox al 76° Festival di Cannes. Credits: Shutterstock

Seno e chirurgia estetica

Non è un caso, allora, che con 1,9 milioni di interventi all’anno la protesi al seno sia la procedura chirurgica più diffusa nel mondo, secondo l’International Society of Aesthetic Plastic Surgery. Più della metà delle protesi nel mondo riguardano donne con meno di 39 anni. Il 6% giovani tra i 19 e i 29 anni. In Italia l’1% di tutti gli interventi eseguiti è su ragazze al di sotto dei 20 anni, l’8% su quelle tra i 20 e i 24. E solo 3 protesi su 4 reggeranno la prova del tempo.

Mentre tutto ciò accade, il Comune di Milano, qualche mese fa, ha detto no alla bella statua della scultrice Vera Omodeo: una donna in piedi che allatta a seno nudo. Doveva essere messa in una piazza. Motivazione? «Valori non condivisi da tutti, meglio un luogo chiuso». Forse qualcuno dovrebbe farsi venire in mente l’illuminata sentenza della Corte di New York di più di 30 anni fa. E tutte noi dovremmo fare come Madonna, che all’epoca la sapeva lunga.