Il premier inglese David Cameron dopo lunghi negoziati con le autorità europee è riuscito a ottenere per il suo paese uno “status speciale” dentro la Ue. Grazie ad alcune concessioni, il primo ministro sosterrà la permanenza della Gran Bretagna all’interno dell’Unione Europea, al referendum del 23 giugno. I sudditi di sua Maestà saranno infatti chiamati al voto: dovranno scegliere se restare nell’Ue o andarsene. Ma perché in Gran Bretagna soffia un vento euroscettico?
Che cosa è la Brexit?
Brexit è il termine con cui si indica l’uscita della Gran Bretagna dalla Unione Europea. E’ l’unione di ‘Bretain’ ed ‘Exit’. Proprio come per ‘Grexit’ si intendeva la possibile uscita della Grecia dall’Ue, in questo caso per via della crisi economica.
Come ci si è arrivati?
Un referendum per decidere se restare nella Ue è stata una delle promesse di Cameron nella campagna elettorale che l’ha portato a Downing Street (la residenza del primo ministro inglese), nel maggio del 2015. Il futuro premier intercettava un malcontento generale nell’opinione pubblica, un’insoddisfazione verso un’Europa molto burocratica, capace solo di limitare l’economia di Londra e tartassarla di tasse. Contrari all’uscita si sono sempre detti i Laburisti e i liberaldemocratici; i conservatori approvano il referendum, ma sono divisi su cosa votare. A favore dell’uscita, c’è anche l’Ukip, partito di estrema destra guidato dall’europarlamentare Nigel Farage.
Che concessioni ha ottenuto?
Cameron ha quindi negoziato con l’Unione europea alcune concessioni a favore del suo paese. In sostanza, la logica è stata questa: tu, Ue mi dai più autonomia; io Cameron sosterrò la permanenza del mio paese (che però dovrà godere di uno status privilegiato) nell’Unione. Il referendum di fatto è un voto sul compromesso del 20 febbraio. Il pacchetto è stato definito dei ‘4 panieri’ e prevede lo sganciamento britannico dalle regole Ue e alcune garanzie agli inglesi su: governance economica (rispetto reciproco sugli interessi dei rispettivi mercati); competitività (riduzione della burocrazia); sovranità (il Regno Unito non si impegnerà in un’ulteriore integrazione europea); accesso al welfare (che potrà essere dato gradualmente in 4 anni).
Che cosa accadrà se vincerà il ‘sì’ all’uscita?
In caso di vittoria della Brexit, è difficile dire che cosa accadrà, perché non è mai successo che un paese esca dalla Ue. Alcuni analisti economici svizzeri hanno stimato che se la Gran Bretagna uscisse, è probabile che andrà incontro a ‘un immediato e simultaneo shock economico e finanziario’. Scenario apocalittico: crollo degli investimenti, calo della fiducia, improvviso stop ai flussi di capitali verso quel paese. Lo scossone dell’uscita si riverserà su tutta l’Ue, perché i 28 Paesi sono in qualche modo economicamente collegati fra di loro.
Se vince il ‘no’ all’uscita?
Il pacchetto che è stato approvato riceverà un formale ‘ok’ dalla popolazione del Regno Unito. Gli effetti si vedranno quando verranno cambiati i trattati della Unione Europea. C’è invece un punto, quello dell’accesso al welfare, che per entrare in vigore dovrà richiedere altri passaggi nei diversi organi Ue.
Al referendum è legato anche il destino del premier?
Lo dicono tutti. Eppure David Cameron ha detto di non volersi dimettere da primo ministro se vincessero i sostenitori della ‘Brexit’. Intervistato dalla Bbc, il premier britannico ritiene che l’uscita dalla Ue ‘non sia la risposta giusta’, ma che se questa sarà la volontà degli elettori ‘farà quanto necessario per farla funzionare’.