Non fatevi spaventare troppo da quello che succede sui mercati in queste ore: le reazioni delle borse e delle valute, soprattutto nel breve termine, tendono ad essere parecchio nervose.
L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea può avere una variabilità di conseguenze più a lungo a termine decisamente più importanti e molte di queste – dato per assodato che l’impatto peggiore sull’economia dovrebbe subirlo proprio Londra – sono politiche.
La prima variabile è il modo nel quale il Regno Unito uscirà. Nelle scorse ore dall’Europa ci sono state prese di posizione piuttosto dure. Tanto il ministro delle finanze tedesco Scheuble, quanto il presidente della commissione europea Juncker hanno sottolineato che l’uscita sarà traumatica e che l’Inghilterra non deve aspettarsi sconti o di essere trattata come un Paese privilegiato. Il ragionamento è chiaro: se decidi di essere un Paese extracomunitario, come tale verrai trattato, con le debite conseguenze in termini di limitazioni al traffico di merci e limitazioni alla circolazione delle persone.
La linea di Scheuble era tattica preelettorale o una posizione politica che una parte dei rimanenti 27 Paesi europei vorrà sostenere? Si vedrà nelle prossime ore, tenendo presente che le conseguenze del referendum non sono immediate, ma ci sono una serie di procedure previste dall’articolo 50 del trattato che vanno rispettate e che allungheranno i tempi.
La seconda variabile è tutta interna. Al di là delle questioni politiche di breve termine, ora che il premier David Cameron si è dimesso, il Regno Unito potrebbe finire letteralmente in pezzi. La Scozia ha votato in maggioranza a favore del “remain” e non è per nulla escluso che gli stessi Scozzesi vengano chiamati dai loro partiti ad un voto per l’indipendenza e per l’adesione all’Europa. Il che vorrebbe dire che la Gran Bretagna si potrebbe trovare fuori dall’Europa, con la Scozia – con tutti i suoi pozzi petroliferi – 28esimo Stato dell’Unione. E ancora: in Irlanda del Nord, dove ha vinto il “remain”, già si chiede un voto per riunificare l’Irlanda.
La terza variabile riguarda tutti gli altri Paesi europei e gli effetti politici a catena che questo voto potrebbe avere. I movimenti nazionalisti, indipendentisti ed euroscettici, già confortati da risultati elettorali positivi in quasi tutte le ultime consultazioni, stanno già iniziando a chiedere referendum per l’uscita dei loro Paesi dall’Unione: lo ha fatto Geert Wilders in Olanda già nelle prime ore del mattino di venerdì, lo ha fatto anche Marion Le Pen in Francia.
Se queste sono le variabili, i rischi principali sono due.
Il primo è lo shock economico, del quale nessuno è in grado al momento di valutare l’intensità, se non nel breve termine e sui mercati finanziari.
Il secondo, ben più grave, è l’avvio della disgregazione dell’Europa, che a sua volta potrebbe portare ulteriori shock economici, oltre che la fine di un sogno nel quale molti di noi avevano creduto.