Ho sentito per la prima volta questa parola un anno fa da mio figlio. «Quello è un bufu». «Cheeeee?» rispondo. E lui e i suoi amici giù a ridere. Chi ha un adolescente per casa mi capirà. Bufu è l’acronimo di “By us fuck you”: un epiteto cattivissimo mutuato dal linguaggio dei rapper americani, più comunemente usato da noi come diminutivo del più innocuo “buffone”. Scopro poi che a sdoganare la parola è stata una trap band di successo: la DPG, ovvero la Dark Polo Gang. Quattro ragazzi romani dai soprannomi altisonanti: Tony Effe, Wayne Santana, Dark Pyrex e Dark Side, che ha recentemente abbandonato il gruppo, prodotti dal beatmaker italoamericano Sick Luke. Tutti tatuaggi, denti d’oro, tanti “bling bling”, come dicono loro per indicare bracciali e accessori costosissimi. I teen li amano e non solo per la musica. La DPG è fortissima sui social e protagonista di una serie dedicata su TimVision. E i video su YouTube in cui Tony Effe incita i “pischelletti dark” (così si chiamano i fan della gang) a fare i bravi a scuola, studiare avere 10 in condotta – «Perché a non fare un c**** non si arriva da nessuna parte» – vantano centinaia di migliaia di visualizzazioni.
Un acronimo degli anni ’80
Dal web alla carta il passo è breve. Del fenomeno DPG si sono occupati i media istituzionali e la parola “bufu” è appena entrata tra i lemmi del prestigioso vocabolario Treccani. «La storia dell’acronimo angloamericano risale perlomeno agli anni Ottanta del Novecento» è scritto «quando Bu-Fu fu adoperato dal musicista Frank Zappa in un brano intitolato Valley Girl». Detto così, sembra davvero una cosa dell’altro secolo. In realtà non c’è alcun significato profondo. L’uso che la DPG fa del bufu è più vicino a quello delle parole in libertà (e per questo motivo è entrato nel linguaggio comune dei nostri figli). Diverso è il discorso dei “dissing”, altro termine che fa parte dello slang della cultura hip hop e sta per “disrespecting”, irrispettoso. Il teenager di casa mi spiega che si usa tra rapper: a colpi di canzoni e video si critica la “crew” avversaria. La rivalità fra gang, nella storia del primo rap più legato alla strada, ha provocato anche diverse morti.
Un gesto di libertà
Dissing e bufu sono solo 2 dei termini che girano in casa se avete un figlio teen. Tra amici ci si chiama “fresco” (starà per il nostro “vecchio” frescone?), ogni frase detta al cellulare è introdotta da “oh zi” (da pronunciare rigorosamente “tsi”) e ogni tanto parte uno “sku sku” che in pratica non significa nulla ma è così onomatopeico che anche il trapper Sfera Ebbasta lo ha inserito nella sua hit Cupido. E tutto è “swag”, una parola che fa parte del titolo del libro di Bello Figo appena uscito per Rizzoli. Il significato? Lo stesso Bello Figo lo spiega così: «Swag è un modo di parlare, di vestire, atteggiarsi e fare quel c**** che hai voglia; significa stare sciallo, divertirsi, trasformare la tristezza in gioia, il brutto in bello. Significa essere fighi». Insomma, se ancora usate “cool” è forse venuto il momento di mettere questo termine in naftalina.