La legge contro il bullismo, dopo l’approvazione al Senato del 31 gennaio 2017, torna alla Camera. Se tutto andrà bene, entro la fine di questa legislatura avremo una legge nazionale per contrastare anche con azioni concrete bullismo e cyberbullismo. Con queste nuove norme i genitori saranno responsabili penalmente del comportamento dei figli, se sono minorenni. Il bullo verrà ammonito dal questore alla presenza dei genitori. E, poi, subirà il cosiddetto “piano di ri-orientamento del comportamento” nella scuola di appartenenza, che coinvolga tutti gli studenti.
Se il bullo è maggiorenne, le pene comprenderanno anche la reclusione.
Intanto, in attesa dell’approvazione della legge nazionale, la Lombardia e il Lazio hanno già una loro legge regionale contro bullismo e cyberbullismo. Una legge che consentirà di mettere in Rete le attività già esistenti e di unire tutti coloro che si occupano di questo fenomeno. Per esempio, si prevede l’istituzione di una Consulta che dovrà monitorare la situazione, raccogliendo informazioni e iniziative. Segno che non si può più sottovalutare un fenomeno che, solo alla Casa Pediatrica dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano (divenuta Centro Nazionale per la Prevenzione e il contrasto al cyberbullismo) conta 1200 nuovi casi all’anno.
Passi importanti, certo, ma non sufficienti. «Di fronte a fenomeni come il bullismo e cyberbullismo, un educatore dovrebbe ricordare che non esistono soluzioni facili che permettono di dormire sonni tranquilli. Chi pensa che basti la legge o che serva controllare i telefonini dei figli commette un errore di ingenuità» esordisce Matteo Lancini, presidente del Minotauro, psicoterapeuta esperto di adolescenti. «A contare moltissimo, in questi casi, è la relazione genitori-figli. È la qualità di questa, coltivata negli anni, che rende i ragazzi in grado di tirarsi fuori dai guai e di tenersi alla larga da comportamenti come il bullismo, l’abuso di alcol, il sexting o la droga. Perché hanno interiorizzato modelli positivi e possono contare su adulti autorevoli e responsabili».
Adulti che, sempre più spesso, chiedono aiuto per aiutare, a loro volta, i propri figli. Esistono comunque dei segnali precisi che si posono individuare e che aiutano a riconoscere un bullo e la sua vittima.
«Avendolo subito in prima persona, volevamo mostrare quanto il bullismo fosse terribile. E, tramite questo cortometraggio, far riflettere i ragazzi della nostra generazione».
Il video è stato realizzato dagli studenti della 1° E del liceo artistico statale di Brera e della classe 2° del liceo classico Carducci di Milano. Diego Valenzise, Editing, Federico Leccese, Vittima, Federico Lapai, Bullo 1, Matteo Dipadova, Bullo 2, Jacopo Santi, Bullo 3, Leonardo Giaquinta, Bullo 4, Massimo Delaurentiis, aiuto tecnico.
Bullismo: come si riconosce il bullo
1. Il bullo ha desiderio di successo
Il bullo non va bene a scuola, non brilla nello sport, ha pochi amici. Ma, anziché chiudersi in se stesso (e trasformarsi in una potenziale vittima di bullismo) cerca il successo sociale attraverso la prevaricazione dell’altro.
2. Il bullo agisce più volte
Uno zaino nascosto per scherzo o una lite finita con uno schiaffo, non sono atti di bullismo ma dinamiche di gruppo dell’età. Per parlare di bullismo occorre che la prevaricazione sia ripetuta e basata su una posizione rigidamente asimmetrica tra un “forte” e un “debole”.
3. Il bullo usa la forza fisica ma anche le parole
Questa forma di violenza può essere fisica (come accade soprattutto ai maschi) oppure verbale (tipico delle femmine). Ma produce sempre lo stesso risultato: umiliare e isolare la vittima.
4. Il bullo agisce sempre in gruppo
Non esiste bullismo senza l’attenzione del gruppo perché l’aggressore ricorre alla violenza proprio per diventare popolare, per essere riconosciuto. Il gruppo può essere reale (la classe) ma anche virtuale (in Rete).
Come si riconosce la vittima di bullismo
1. La vittima è una persona non omologata
Un bullo sceglie la sua vittima tra chi spicca per caratteristiche che lo rendono non omologato al gruppo: per colore della pelle, provenienza, accento, modo di vestire o di parlare, risultati scolastici e così via.
2. La vittima è molto legata ai genitori
La vittima prediletta spesso è il ragazzino che viene identificato come “sfigato” perché ancora immaturo, molto attaccato a mamma e papà, dipendente da loro e legato alle loro regole.
3. La vittima non parla con i genitori
Chi subisce atti di bullismo non ne parla a casa perché se ne vergogna. Ma anche perché vuole proteggere i grandi dall’onta e dal dolore secondo un ribaltamento di ruoli oggi molto diffuso. Eppure, i genitori possono capire anche quando le parole mancano. Ci sono infatti dei cambiamenti significativi che funzionano da allarme: pianti improvvisi, oppure un ragazzo solare che diventa all’improvviso triste, o un bravo studente che comincia ad avere problemi di apprendimento.
4. La vittima accusa malesseri nuovi
In genere chi viene preso di mira comincia a non voler andare a scuola per evitare certe situazioni, e per questo lamenta frequenti mal di testa, dolori di stomaco e altri problemi fisici.
Cosa non fare
Quando, prima o poi, la verità emerge, la vittima rischia di essere “bullizzato due volte”. Succede quando i genitori si presentano a scuola per intimare al bullo di lasciare in pace il proprio figlio. Una situazione talmente mortificante che, a quel punto, spessissimo la vittima non riesce più a tornare in classe. E chiede di cambiare scuola. Un buon intervento antibullismo, invece, si dovrebbe sempre concludere con la vittima che rimane in classe. E il bullo che diventa consapevole dei propri errori. Altrimenti passa il messaggio che la violenza “paga”.
Cosa fare
Mantenere il dialogo con il bullo o la vittima
Se l’adulto scopre che il figlio è un bullo o una vittima, è indispensabile mantenere aperto il dialogo. Ma il genitore non dovrebbe, in nessun modo, mettere il ragazzo sotto pressione. Niente frasi, tipo: «Ma dai, parla, insomma, cosa sta succedendo a scuola?». Un atteggiamento del genere farebbe chiudere ancora di più il ragazzino. In una dimensione di dialogo, è importante invece rispettare anche i momenti di silenzio. Il figlio deve capire che il genitore è sempre presente per lui, in ogni situazione, anche se difficile. Con il tempo, questa fase può essere superata e il figlio arriva a confidarsi raccontando in modo spontaneo cosa accade.
Dedicare più tempo al figlio
In particolare, se il ragazzo è una vittima di atti di bullismo, accanto al dialogo l’altro elemento fondamentale è offrire disponibilità. “In una situazione di questo tipo, il genitore, per esempio, dovrebbe accompagnare il figlio a scuola e aspettare che entri o esca alla fine delle lezioni. In ogni caso, quando il sospetto si trasforma in certezza, è indispensabile informare la scuola di cosa sta succedendo. Il primo passo è parlarne con gli insegnanti della classe, o i coordinatori, e valutare una possibile strategia di azione. Ogni persona che compie atti di bullismo ha la sua storia, di conseguenza è opportuno trovare insieme la modalità di intervento più adeguata.
Mettersi in discussione
Per l’adulto che si trova ad affrontare un caso di bullismo (perché ha il figlio vittima o il figlio bullo), è il momento di mettersi in discussione. In sostanza, non è sempre e solo colpa dei ragazzi: quali modelli forniamo come adulti? Quanto tempo dedichiamo ai figli? Anche i bulli vanno aiutati perché, spesso, sono incapaci di comunicare correttamente i loro stati d’animo. In genere, non riescono a gestire i ‘normali conflitti della vita di tutti i giorni.