Un bambino su 10 in Francia è vittima di bullismo, soprattutto a scuola. Da inizio anno sono una ventina gli studenti che si sono suicidati dopo aver subito prepotenze di vario tipo dai compagni. Di fronte a questo quadro, fornito dall’Associazione Hugo, il deputato MoDem Erwan Balanant ha presentato un disegno di legge che prevede punizioni severe, come multe salate e anche la reclusione. «Dobbiamo definire un divieto e insieme ci deve essere una componente di prevenzione essenziale in tema di bullismo» ha spiegato il promotore. E in Italia? «La nostra legge in materia di bullismo e, in generale, sul processo minorile, prevede soprattutto sistemi di recupero. Credo che il carcere non sia una soluzione, non lo è spesso per gli adulti, figuriamoci per i ragazzi. Se un giovane lo metti in carcere, ne esce incattivito e ricommette lo stesso reato» commenta l’avvocato Marisa Marraffino, esperta di reati minorili e cyberbullismo.
La Francia sceglie la linea dura
Secondo la proposta francese, le molestie tra i banchi di scuola saranno punite con la reclusione da 3 a 10 anni (nel caso la vittima sia indotta al suicidio o al tentativo di suicidio) e con una multa da 45 a 150 mila euro. La notizia fa discutere anche in Italia, dove pure il fenomeno del bullismo è in crescita, anche nella versione del cyberbullismo. Secondo Cittadinanzattiva, un ragazzo su sette dichiara di aver assistito a episodi di cyberbullismo e uno su dieci di esserne stato vittima. Il ricorso sempre più massiccio ai social da parte dei giovanissimi non aiuta, tanto che il 32,5% mostra comportamenti verbali e fisici di aggressività verso gli altri.
Le vittime eccellenti del bullismo scolastico
Ma il fenomeno non è nuovo e anche in passato si sono verificati episodi. Basti pensare che tra le «vittime eccellenti» ci sono anche personaggi famosi, come la cantante Elisa e Tiziano Ferro, che ha confessato di aver superato il problema in età più matura, grazie alla musica. Ma cosa bisogna fare se si è in presenza di un atto di sopraffazione, di molestie, ingiurie o persino lesioni? Cosa prevede la legge?
A chi chiedere aiuto: la scuola prima di tutto
Quando si è vittima di bullismo si tende spesso a tacerlo, a nasconderlo, anche solo per vergogna, ma gli atti di prepotenza e violenza vanno denunciati. A chi? «È una domanda che i genitori ci rivolgono spessissimo. La prima cosa da fare è rivolgersi al dirigente della scuola che indirizzerà al referente contro il bullismo: in base alla legge 71 del 2017 deve essere nominato in ogni istituto – spiega l’avvocato Marraffino – Va detto che purtroppo non tutte le scuole collaborano, perché hanno paura della cattiva pubblicità. A noi arrivano moltissime segnalazioni di casi di bambini di 8 anni, quindi alle elementari. A volte gli insegnanti rispondono che si tratta di normali rapporti tra alunni, ma capitano invece casi di bullismo anche severo, che vanno avanti da un anno e oltre».
La denuncia, il contatto coi gestori dei social network e il garante
«Di fronte all’indifferenza, alcuni genitori decidono di far cambiare scuola ai figli, ma non è la soluzione, perché spesso il problema si ripropone. È comunque anche possibile rivolgersi ai carabinieri o alla Procura con una denuncia. In caso di cyberbullismo, poi, va ricordato che i genitori hanno diversi strumenti: per esempio, i video si possono rimuovere, segnalandoli al social network su cui sono stati diffusi. Se i gestori non lo fanno entro 48 ore, si può presentare un reclamo al Garante per la privacy, indicando dove si trova il contenuto offensivo e chiedendone la cancellazione. È una procedura telematica, semplice e gratuita» spiega l’esperta. Insomma, il procedimento penale è l’estrema ratio, anche se è previsto.
Come è punito il bullismo: i reati e le pene per i minori
In Italia, come del resto in Francia, non esiste un vero e proprio reato di bullismo. Nel 2020 sembrava che fosse pronta una norma specifica, ma alla fine la proposta non è passata: «ci sono diverse proposte di legge che vogliono introdurre un reato di bullismo, ma nessuna è mai passata perché è difficile “tipizzare” le condotte, cioè descriverle in modo specifico, se non ripetendo reati che sono già esistenti» spiega l’avvocato Marraffino. Questi reati sono diversi e numerosi: «Sono gli stessi previsti per gli adulti con la differenza che sotto i 18 anni c’è uno sconto di pena di un terzo in caso di condanna. Si va dalle lesioni, per esempio se si dà uno spintone che causa un livido o una ferita e che possono essere anche gravi o gravissime, alla violenza privata, quando si costringe qualcuno a fare qualcosa. È captato, per esempio, che la vittima sia stata costretta a fare versi di animali mentre altri riprendevano col cellulare. Se il video, poi, viene postato sui social si aggiunge il reato di diffamazione aggravata, che per esempio prevede la pena della reclusione fino a tre anni. In ambito cyber, chi crea un falso profilo del compagno in Rete può essere punito per sostituzione di persona, procedibile d’ufficio cioè senza una denuncia da parte della vittima ma anche da parte di chi ne venga a conoscenza, come ad esempio un insegnante. Un altro reato tipico è l’estorsione, se si costringe un compagno a dare dei soldi o oggetti sotto minaccia, oppure la violazione della password di un amico, e in questo caso il reato è accesso abusivo a sistema informatico». Le pene non mancano e si può arrivare, per cumulo, anche a molti anni di carcere, ma in Italia in genere si preferisce la strada della messa in prova».
Carcere o percorso educativo?
Lavorando da anni con i ragazzi, Marisa Marraffino è chiara: «Non condivido la scelta del carcere come punizione. Ho visto per esperienza che la messa in prova è molto più efficace e permette un pieno recupero di moltissimi giovani. Un requisito indispensabile è che il ragazzo ammetta di aver commesso un reato, quindi implica una presa di coscienza. Il giudice, sentiti i servizi sociali, può decidere quindi la sospensione del processo fino a un massimo di tre anni, con verifiche periodiche. Spesso sono i genitori a chiedere un percorso rieducativo, per tenere il figlio lontano da percorsi criminali». La rieducazione, però, è più difficile, «anche dal punto di vista economico. Bisognerebbe investire di più sul Tribunale dei minorenni, e su tutte le strutture che collaborano, dagli assistenti sociali agli educatori. Il carcere è la strada più semplice» spiega l’esperta, che ha attivato Unblaming, una piattaforma proprio per dare supporto ai genitori e voce ai ragazzi, comprese le vittime di bullismo: «L’idea è nata durante il lockdown, per creare uno spazio virtuale dedicato ai ragazzi, dove trovare informazioni aggiornate, ufficiali e chiedere anche aiuto: il sito prevede una chat line, attivata a breve e rispettosa delle norme sulla privacy – spiega l’ideatrice – Ricordo che il Tribunale per i minorenni in molti casi era costretto a sospendere i progetti di messa alla prova, i servizi minorili non potevano più incontrare i ragazzi e ci sentivamo tutti molto impotenti». Il coinvolgimento passa anche attraverso i genitori che volessero avere consigli e indicazioni pratiche su come comportarsi e riconoscere eventuali campanelli d’allarme: «A loro offriamo corsi agli adulti per spiegare in modo concreto come comportarsi, grazie alle indicazioni di psicologi, psicoterapeuti, avvocati, ecc. Esperienze analoghe negli Usa hanno aiutato moltissimi giovani, con attività promosse anche nelle scuole. Adesso, ad esempio, stiamo realizzando un film con le testimonianze dei giovani, ma pensiamo anche a una canzone contro il bullismo e speriamo tutti possano vedere e ascoltare l’uno e l’altra da “liberi”, non dal carcere» conclude Marraffino.