Il bullismo è da sempre un argomento all’ordine del giorno, spesso associato in modo spontaneo alla scuola. Come studentessa, e come adolescente, cercherò di dare una visione “dall’interno” attraverso le mie esperienze personali.
L’infanzia, e in particolare l’adolescenza, sono periodi molto delicati. Si è soggetti a continui mutamenti, esteriori e interiori, che possono spaventare e destabilizzare. Tutti subiscono questi cambiamenti, nessuno escluso. Persino i bulli. Forse, soprattutto i bulli. Sentire il bisogno di essere prepotenti è indubbiamente segno di grande insicurezza; è una cosa che capita anche agli adulti, è come tentare di portare l’attenzione sui difetti altrui per occultare i propri. Equivale a puntare i riflettori su chi è più debole per evitare il tanto temuto giudizio degli altri e mostrarsi più forti. Come un animale, che, quando è spaventato, decide di attaccare. Volendo identificare il bullismo con un oggetto, un’arma, mi immagino un grande megafono, usato non per amplificare la propria voce bensì le paure degli altri.
Penso che gli abusi psicologici siano più gravi di quelli fisici. Le immagini stereotipate – trasmesse da film, serie tv e libri – del ragazzo grande e grosso che intima a un compagno gracile e timido di consegnargli la merenda, e al suo rifiuto, decide di picchiarlo, sono nelle menti di tutti noi. Spesso, si associa al bullismo un abuso di tipo fisico. Io penso che il bullismo psicologico sia altrettanto grave, e sicuramente più diffuso. Una madre nota se suo figlio rientra a casa con un occhio pesto, ma non potrà mai sapere se a scuola qualcuno lo ha insultato, finché non sarà lui a farne parola spontaneamente. Eppure gli insulti, in particolare quelli mirati, hanno un peso non indifferente e lasciano ferite dolorose, proprio come un calcio o un pugno. Penso che a scuola non si parli abbastanza di tutto questo.
Per quanto riguarda me, non posso dire di essere stata mai stata vittima diretta di un episodio di bullismo, piuttosto, in alcuni periodi, di una sorta di emarginazione. Ciò che ho imparato da questa esperienza è che non bisogna mai rassegnarsi a subire, pensando non ci sia modo di cambiare le cose. Durante i primi 2 anni delle medie, ho riversato tutta la responsabilità per il mio senso di esclusione sui miei compagni di classe. La verità – ma me ne rendo conto solo ora che è passato un po’ di tempo – è che era anche colpa mia. Trovando i miei compagni tanto, troppo diversi da me, mi sono chiusa pensando di non avere speranze. Presuntuosamente ho pensato che fossero loro in torto, che dovessero maturare, convinta che non mi volessero perché avevano paura del diverso. Non mi rendevo conto che anche io stavo commettendo lo stesso errore: attendevo che facessero il primo passo senza accorgermi però che, come io aspettavo gli altri, gli altri aspettavano me.
Credo che sia necessario provare a capire i bulli. Partire dal presupposto di essere una vittima è forse il modo peggiore di reagire. Insomma, secondo me per uscirne è più costruttivo provare a mettersi nei panni del bullo. Quali sono le motivazioni che lo spingono a comportarsi così? Perché sente il bisogno di sfogarsi sugli altri? Forse sta soffrendo ma non ha il coraggio di parlarne. E qui arriviamo al punto in comune tra i bulli e le loro vittime. Il silenzio. Tacere può solo nuocere, da entrambe le parti. Non basta spingere chi subisce a parlare, perché i bulli ne hanno altrettanto bisogno. Non c’è niente che non si possa risolvere dialogando. Non serve la bacchetta magica per combattere il bullismo. Per risolvere un problema, è sufficiente capirlo.