Non ho mai gestito i miei soldi. Lavoro, guadagno, spendo, ma tutto ciò che riguarda il conto in banca, il mutuo, le tasse, il 730, gli eventuali investimenti, non mi riguarda. Sono passata dalle cure di mio padre a quella di mio marito. Classico esempio di come si sta comodi, a volte, nel patriarcato. Se cerco nella mia memoria come ci sono finita dentro, rilevo un solo indizio: la convinzione profonda e radicata che parlar di soldi sia volgare. I miei genitori avevano raggiunto la serenità economica, dopo infanzie di tutt’altro genere. E il vero lusso per loro era non dover pensare al conto in banca. Così siamo cresciute io e mia sorella: bisognava guadagnare per essere indipendenti, bisognava far sì che i soldi non fossero una preoccupazione, ma una volta raggiunto l’obiettivo, dimenticarsene, ché tanto la felicità non arriva da lì.
Quando ho costruito una famiglia mia, sono presto scivolata in una comoda routine. Io alla cucina, lui ai conti. Di tanto in tanto ci rinfacciamo il carico che ciascuno gestisce, ma quando l’altro brandisce il proprio, capiamo che ognuno si è preso quello che gli si addice di più e ritorniamo nei ranghi della nostra routine. La gestione dei soldi fino a oggi non è stata nient’altro che questo: una voce nell’infinita lista di doveri per mandare avanti la famiglia, un peso, uno sporco lavoro che qualcuno deve pur fare. «E che lo faccia lui, almeno questo!» è sempre stato il mio pensiero nascosto e impronunciabile.
Poi, però, sulle pagine di questo giornale è nato un acceso dibattito sul tema. A scaternalo, l’intervista a Giovanna Paladino, direttrice del Museo del risparmio, che a noi donne dice: «Delegate tutto ma non la gestione dei vostri soldi». E giù lettere di protesta o di plauso, infinite discussioni in riunione di redazione. Sufficienti a farmi capire che i soldi non sono altro che un grande tabù, per me. Se provo a rinominarli con ciò che essi permettono, e cioè istruzione, viaggi, scelte, allora assumono tutto un altro significato. Gestirli significa disegnare la propria vita. Spronare le mie figlie a farlo significa renderle consapevoli del tanto che basta a dare forma e materia ai loro sogni. Ecco perché, per quest’anno, ho solo un buon proposito: aggiungere alla lista del mio carico mentale la voce “gestione finanziaria”, magari depennando un paio di altre voci.
E poi sì, ho un altro proposito: continuare ad alimentare questo dibattito importante. Ma per farlo ho bisogno di voi: scrivetemi per raccontarmi come gestite le finanze familiari. La vostra voce, le vostre storie sono il nostro motore.