«Sai che oggi D. mi ha picchiata?».
«Come mai?» chiedo con sguardo accusatorio.
«Ha provato a strapparmi di mano la merendina e io non
ho ceduto».
«Avresti dovuto lasciargliela» formalizzo il rimprovero.
«E perché dargliela vinta?».
Questa è mia figlia che “mi spegne”, come direbbe lei. Ovvero che svela in modo inequivocabile lo sguardo che inconsciamente riservo a coloro che, come D., hanno una qualsiasi forma di disabilità.

Cambiamo sguardo, è l’invito del numero di Donna Moderna in edicola questa settimana, che nasce dall’incontro con persone straordinarie e con i loro messaggi dirompenti. Sono donne che stanno cambiando la narrazione in cui sono cresciute. La pietà, la compassione, l’indulgenza sono le sabbie mobili in cui restano intrappolate e scompaiono lentamente. La fisicità, la verità, la consapevolezza di quanto possono offrire è ciò da cui traggono la forza necessaria per contribuire a ridisegnare la società in cui vivono.

La prima cosa che ho imparato da loro è l’importanza di farsi le domande giuste. Non: com’è diventata così, è stato un incidente, o forse
una malattia genetica? Bensì: esistono macchinari in grado di farle un
pap test? Ci sono tutti gli strumenti perché possa prendersi cura
della propria salute e sessualità? Ci sono i servizi che le permettano
di godere dell’arte, della bellezza, della musica?

La seconda cosa che ho imparato da loro è che la disabilità non è una condizione dell’individuo, ma della società incapace di accogliere le caratteristiche psicofisiche di tutti. Abitiamo una società svantaggiata, perché non sa valersi dell’apporto e della creatività di ogni suo componente. E ciascuno di noi può contribuire a riprogettarne un pezzettino, quello più vicino a sé, fosse anche un settimanale femminile. Che smette di essere disabile nel momento in cui cambia sguardo e si avvale della competenza e della voce di tutti.

La terza cosa che ho imparato è che non importa se tutte le persone in carrozzina non sono tenaci come Sofia Righetti o consapevoli come Valentina Tomirotti. Il fatto che non tutti sarebbero in grado di combattere come fanno loro non le rende meno titolate a farlo. E se anche solo un lettore alla fine di questo numero avrà cambiato sguardo, come è successo a me, aver dato voce alla loro battaglia non sarà stato vano.