Le polemiche sul Ddl Zan sull’omotransfobia hanno attirato l’attenzione sui diritti del mondo Lgbtq+. Comprende omosessuali, lesbiche, ma anche bisessuali e transgender, ossia persone che percepiscono un’identità diversa rispetto al sesso di nascita.

Sono proprio queste le persone che chiedono in misura sempre crescente una riassegnazione di genere. L’iter, però, prevede un’autorizzazione da parte del Tribunale, che si accompagna a un percorso sanitario e psicologico. «Il fenomeno è in crescita e, secondo le nostre stime, le domande aumentano del 37% ogni anno» spiega l’avvocato Gianluca Piemonte, specializzato in questo settore. Ma come avviene il cambio di genere, cosa prevede la legge italiana e qual è l’iter burocratico da seguire? Quali i costi e i requisiti necessari?

Cosa prevede la legge

Il cambio di genere è possibile in Italia dal 1982, grazie alla legge 164, previa autorizzazione di un Tribunale. La norma, però, all’epoca prevedeva questa possibilità solo ai transessuali che avessero già eseguito l’intervento chirurgico, cioè senza tenere conto dell’identità di genere, che invece riguarda la sfera psicologica. Dal 2011, invece, (art.31 D.LGS 150) è stato previsto che l’intervento chirurgico possa essere autorizzato da un Tribunale per adeguare i caratteri sessuali all’identità di genere, ma solo “quando risulta necessario”.

La vera svolta è avvenuta nel 2015 con due sentenze, rispettivamente della Corte di Cassazione (n.15138) e della Corte Costituzionale (221/2015) che hanno sancito che l’intervento chirurgico non è più obbligatorio per il cambio di sesso, ma è eventuale e deve essere inteso come un mezzo per raggiungere il benessere psicofisico, quindi per tutelare il diritto alla salute. «Ormai nell’80-85% dei casi non si procede neppure all’operazione» conferma l’avvocato Piemonte.

La domanda per il cambio di genere

Quando si è in presenza di disforia di genere, cioè quando una persona è in una condizione di disagio e malessere psicologico perché non si riconosce nel genere “biologico” alla nascita, il primo passo è affidarsi a una psicoterapia. «Per poter chiedere il cambio di genere è prassi che i Tribunali chiedano una diagnosi di disforia di genere – spiega l’esperto – Lo stesso vale per la terapia ormonale: in questo caso è consigliabile l’assunzione di ormoni qualche tempo prima della prima udienza, in modo che sia già iniziata anche una trasformazione esteriore, femminizzante o mascolinizzante, che comprovi la volontà di cambiare genere».

I documenti richiesti

Una volta affrontati i primi due passaggi, che prevedono il ricorso a un esperto in campo psicologico e medico, è possibile rivolgersi al Tribunale perché autorizzi il cambio di genere. «I documenti necessari sono pochi: è indispensabile un certificato di stato libero rilasciato dall’anagrafe del Comune che attesti che la persona non è sposata. Non perché non sia possibile a chi lo è, ma perché in questo caso occorre citare in giudizio anche il coniuge ed eventualmente i figli maggiorenni. Qualora fossero minorenni, invece, ci si limita a una citazione formale, ma sarà il genitore che esercita la potestà a rilasciare eventuali dichiarazioni ostative – spiega il legale – Occorre anche un certificato di residenza perché il procedimento sarà avviato nel tribunale competente per sede».

La sentenza di rettificazione di attribuzione di genere comporta lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili per le persone che erano precedentemente sposate. Con la nuova identità, ci si può sposare in Italia o all’estero.

I tempi per la procedura

«Questi variano molto da territorio a territorio. Ad esempio, si può arrivare a sentenze in appena 4 mesi, come accaduto all’Aquila, a Bolzano o Siena, mentre altrove occorre più tempo. In media servono 10 mesi e non si va oltre i 12, qualora ci fossero problemi di notifiche per il coniuge o i figli, specie se all’estero. Ma le procedure si stanno velocizzando» spiega l’avvocato Piemonte.

Che documenti cambiano: dalla carta d’identità alla patente

Il primo documento che cambia è l’atto di nascita, in modo automatico: «Il Tribunale, infatti, trasmette la sentenza al luogo di nascita e l’ufficio anagrafe recepisce rettifica. A questo punto ci si può recare nello stesso Comune per modificare tutti gli altri documenti, come la carta d’identità, oppure in Motorizzazione per la patente, in Questura per il passaporto o all’Agenzia delle Entrate per il codice fiscale. La Pubblica Amministrazione – prosegue l’esperto legale – ha L’obbligo di rettificare tutti i documenti, compresi diplomi, lauree, ecc. A volte ci sono problemi con i contratti privati, come quelli d’affitto, per i quali non c’è obbligo di rettifica dell’intestatario da parte del locatore, o le utenze domestiche o telefoniche».

Quanto costa cambiare genere

I costi per il procedimento giudiziario variano a seconda delle condizioni economiche di chi fa richiesta. Con un reddito personale inferiore a 11.746,68 euro si può infatti chiedere il gratuito patrocinio, per cui sarà lo Stato a pagare l’avvocato e le spese processuali. «In questo caso va considerato solo il reddito personale e non anche quello dei familiari conviventi, perché il procedimento di rettificazione del genere riguarda un diritto personalissimo e una sfera privata» chiarisce l’avvocato.

«Anche gli stranieri con permesso di soggiorno possono beneficiare del gratuito patrocinio e quindi avviare la procedura in tribunale a spese delle Stato – aggiunge Gianluca Piemonte – Con un reddito superiore alla soglia indicata, invece, il costo dipenderà dalla parcella dell’avvocato, ma in media si aggira intorno a 1.600/1.800 euro, oltre alle spese processuali del Tribunale (in alcuni casi sono a zero, in altri oscillano tra 125 e 550 euro circa), mentre le spese di cancelleria non sono elevate (circa 50 euro per richieste copie conformi e notifica)». A queste si aggiungono le spese per la diagnosi psicologica e la terapia ormonale, anch’esse variabili a seconda dell’esperto al quale ci si rivolge e alla durata dell’iter.

La richiesta di consulenza (CTU)

Un possibile “intoppo” è rappresentato dalla richiesta, da parte del Tribunale, di un Consulente Tecnico d’Ufficio, che può essere nominato dal Giudice per accertare la disforia di genere. «Alle udienze deve partecipare l’avvocato, mentre la persona interessata è opportuno che partecipi almeno alla prima udienza o alla seconda. Come detto, se chi fa la richiesta si presenza con la cura ormonale in atto, è meno probabile che il giudice decida per la nomina di un perito» consiglia l’avvocato.

Cosa succede se si cambia idea?

È sempre possibile avere un ripensamento, anche se è molto raro: «In questo caso si torna in Tribunale per chiedere una nuova rettificazione dell’atto. È un’eventualità che, se accade, porta generalmente alla nomina di uno psichiatra o altro esperto per capire se la scelta è davvero ponderata» conclude l’avvocato Gianluca Piemonte.