Un mix di due farmaci riduce del 25% la probabilità di recidive nel caso di donne con tumore al seno sensibile agli ormoni. È la prima volta da vent’anni a questa parte che un trattamento raggiunge un risultato così positivo e a dirlo è lo studio presentato all’ultimo Congresso internazionale di oncologia. Una bella novità che assume un valore speciale soprattutto in questo mese “rosa”, dedicato da sempre alla prevenzione del tumore del seno e durante il quale, il 13 ottobre, si inaugurerà anche la Giornata nazionale per informare sul carcinoma metastatico.

«Lo studio ha valutato gli effetti di Abemaciclib usato in associazione con la terapia endocrina, nelle donne con recettori ormonali positivi» spiega Valentina Guarneri, responsabile della Struttura dipartimentale ricerca di rete dell’Istituto Oncologico Veneto di Padova e tra le autrici dello studio. «È un farmaco che prescriviamo già nel caso della malattia metastatica, con risultati positivi. Ma visto il suo meccanismo di azione particolare lo abbiamo sperimentato per una sfida diversa: prevenire la malattia metastatica anziché curarla. E i dati che stanno emergendo sembrano proprio darci ragione».

Il tandem vincente per tanti tumori

I dati dicono che in due casi su dieci, nonostante le cure, nell’arco di dieci anni dalla diagnosi si manifesta una recidiva, cioè un altro carcinoma al seno oppure in altre parti del corpo. La ragione? La terapia ormonale non ha funzionato a causa di una forma di resistenza che si sta cercando di studiare sempre più a fondo. Ed è qui che entra in gioco il nuovo farmaco.

«Abemaciclib fa parte di una classe di principi attivi innovativi chiamati inibitori di CDK4 e 6. La loro funzione è quella di bloccare l’innesco della proliferazione delle cellule tumorali». E quindi vengono già usati contro le metastasi. «Questo meccanismo di proliferazione però sembrerebbe responsabile anche della resistenza del tumore alla terapia ormonale» continua la professoressa Guarneri. «La prescrizione di Abemaciclib quindi potenzia l’effetto della cura endocrina, che così riesce a svolgere la sua azione protettiva e a ridurre il rischio di recidiva». 

Abemaciclib: per chi va bene

Le donne candidate alla nuova cura hanno tutte una malattia in fase iniziale e un identikit ben preciso estrapolato dalle caratteristiche del carcinoma. Per esempio devono esserci almeno quattro linfonodi positivi, oppure fra uno e tre positivi nel caso di un tumore di almeno cinque centimetri. O, ancora, dalle analisi effettuate dopo l’asportazione deve emergere che si tratta di un tumore di grado 3, o a elevata proliferazione, cioè composto da cellule di natura aggressiva.

«Prima di iniziare la cura la paziente deve aver concluso il programma di chemioterapia e radioterapia, se indicato dopo l’intervento chirurgico» dice la professoressa Guarneri. «Quindi viene prescritta la combinazione, che la paziente assume quotidianamente a casa. Nello studio che abbiamo appena presentato, Abemaciclib è stato prescritto per due anni, mentre la terapia ormonale è ancora in corso e durerà cinque-dieci anni. Gli effetti collaterali, tra cui diarrea e nausea, sono generalmente lievi e si risolvono con una terapia adeguata o aggiustamenti della dose».

Il farmaco non è ancora disponibile in Italia con questa indicazione. In attesa che si concluda l’iter, è in fase di sviluppo “expanded access”, un programma che permette ai pazienti candidati di iniziare comunque la terapia. Per partecipare bisogna parlare con il proprio oncologo.