Nell’anno maledetto del Covid difficile aspettarsi che il Parlamento licenzi una legge a tutela delle donne con tumore al seno, tantomeno le metastatiche. Se ogni anno circa 55mila donne si ammalano di tumore al seno, 14mila sono quelle che sviluppano metastasi (dalla decima edizione del Rapporto “I numeri del cancro in Italia” dell’Aiom, Associazione Italiana di Oncologia Medica): 40 donne al giorno. Numeri forse poco rilevanti, se si guardano i tre milioni e mezzo di italiani che vivono dopo una diagnosi di cancro. Le donne con metastasi, insomma, rappresentano una minima parte dei pazienti oncologici, con un’aspettativa di vita che, se negli ultimi anni è cresciuta, resta comunque poco “interessante” in termini di investimenti, cure, assistenza, welfare.  

La proposta di legge per le donne metastatiche

Per questo diventa ancora più preziosa la Giornata nazionale di sensibilizzazione sul tumore al seno metastatico del 13 ottobre, che il Consiglio dei Ministri ha appena istituito su parere del Ministro della Salute: questa data rappresenta un punto di arrivo per le tante associazioni di volontariato oncologico che da anni si battono per far uscire dall’ombra queste pazienti (Andos, Europa Donna, Favo, IncontraDonna Onlus, Noi ci siamo). Ma soprattutto diventa un punto di partenza per un’attenzione diversa e doverosa alle pazienti che convivono con le metastasi. Un tassello importante che ci auguriamo possa spianare la strada ai cambiamenti auspicati nella proposta di legge del dicembre 2018, ferma in Parlamento.

Marina La Norcia, presidente dell’associazione “Noi ci siamo”, ha raccolto l’eredità di Mimma Panacione (scomparsa nel 2016), fondatrice dell’associazione, tra le prime a puntare i riflettori sul tumore al seno metastatico. E, seguendo la strada di Mimma, lavora per l’approvazione della legge: «Questa proposta di legge ha come obiettivo quello di migliorare la vita delle donne con metastasi, creando ospedali più efficienti, con breast uniti centri di senologia – che funzionino davvero e team e percorsi dedicati, specifici per le donne con metastasi. Secondo l’Associazione italiana di oncologia medica, infatti, la cura del tumore del seno presso le breast unit riduce la mortalità del 18 per cento perché risulta più alta l’adesione alle Linee guida, migliore l’esperienza degli specialisti e sicura l’adozione di un approccio multidisciplinare».

Breast unit, più cure, invalidità subito

La legge è ambiziosa ma segue direttive europee di 15 anni fa, da cui noi restiamo però ancora lontani. «Questi centri dovrebbero diventare un modello di assistenza specializzato nella diagnosi, cura e riabilitazione psicofisica delle pazienti. L’equilibrio di queste donne è delicato: sono persone che rischiano di essere abbandonate perché il loro percorso è a tempo. Avrebbero quindi diritto a un iter immediato per l’accertamento dell’invalidità civile, a cure e ascolto, alla possibilità di accedere a terapie innovative e a trials clinici, da cui invece sono spesso escluse». 

Eppure si può vivere anche con le metastasi, come tante storie di donne dimostrano. A partire da quella di Barbara Biasia, referente di “Noi ci siamo” per la Valle d’Aosta, che da anni convive con la malattia e le cure ed è diventata una figura di ispirazione per tante altre donne: ha scritto il libro “Due motori per la vita”, anima iniziative negli ospedali delle regione a favore delle pazienti oncologiche e ha aperto un fondo per sostenere anche economicamente le donne come lei.

Il Covid minaccia il lavoro delle donne oncologiche

Il sostegno economico è un tasto dolente per tutte le persone con tumore in età lavorativa, circa un milione. La pandemia ha aggravato la condizione lavorativa di chi segue terapie oncologiche, soprattutto delle donne. Se le donne dal punto di vista del lavoro hanno pagato più di tutti gli altri i costi del Covid, le malate di tumore in molti casi si sono trovate nella condizione di dover scegliere tra salute e lavoro. Ce lo spiega Elisabetta Iannelli, avvocato, segretario generale della Favo (Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) e vice presidente di Aimac (Associazione Italiana Malati di Cancro), paziente oncologica da 27 anni e da 20 impegnata nella difesa dei diritti dei malati di tumore. «Il Covid mette in crisi il nostro sistema sociale, economico e lavorativo ma, nel caso delle persone in terapia, minaccia la stessa conservazione del lavoro. E questo vale per le donne in particolare, che peraltro hanno un tasso di sopravvivenza a cinque anni dal tumore più alto degli uomini, poiché il tumore femminile più frequente è quello alla mammella, che ha una prognosi migliore».

Finite le tutele al lavoro per i malati di tumore

La situazione rischia di esplodere in tutta la sua gravità adesso, in questa fase post emergenza. «Finora hanno funzionato tutte le tutele giuridiche ed economiche introdotte durante il lockdown: una serie di provvedimenti straordinari e temporanei infatti ha protetto questi lavoratori, che hanno potuto lavorare da casa – quando realizzabile lo smart working – oppure non lavorare, senza perdere né la retribuzione né il posto. Queste tutele però ad oggi non sono state prorogate, nonostante il prolungamento dello stato di emergenza. E così accade che oggi si ricorra alla tutela ordinaria, cioè si consumino giorni di malattia, giorni di terapia salvavita o ferie. Oppure venga riconosciuta l’inidoneità assoluta temporanea al lavoro per rischio Covid, ma questo implica restare a casa senza stipendio».

Molte donne a rischio licenziamento

Mancando insomma le tutele legate all’emergenza, la scelta resta a carico del lavoratore, tranne i rari casi in cui qualche azienda illuminata lavori di fantasia e si inventi soluzioni creative (per esempio pagare ugualmente lo stipendio). In pratica, quando finirà il divieto di licenziamento e i giorni di ferie e permessi saranno esauriti, molte donne saranno di fronte al licenziamento. E la situazione naturalmente risulta ancora più critica per le partite Iva e i liberi professionisti, a cui manca anche il diritto di base, cioè l’indennità di malattia per l’astensione dal lavoro a causa delle cure.