Arrivano dall’ASCO, il Congresso mondiale di oncologia, le ultime novità sulle terapie contro il tumore del seno. Risultati importanti, che aumentano le speranze per quei casi ritenuti, fino a poco tempo fa, ancora senza speranze. E che rendono sempre più concreto il concetto di “cronicizzazione”, vale a dire di convivenza con la malattia oncologica, come se fosse una qualsiasi altra patologia cronica. Non è poco, perché questo permetterebbe alla donna di lavorare, avere una vita sociale, seguire la famiglia.
Arrivano le terapie mirate
Ogni anno ci sono circa 12mila nuovi casi e 35 mila donne convivono con la malattia. In circa il 7 per cento dei casi è metastatico fin dalla diagnosi, mentre tutti gli altri sono relativi alla progressione del tumore del seno, diagnosticato e già trattato. «Se attualmente le donne vivono di più e con una buona qualità di vita è grazie in particolare alle maggiori conoscenze sulla biologia del tumore» interviene Stefania Gori, Presidente AIOM, l’associazione degli oncologi italiani. «I passi avanti che sono stati fatti per il carcinoma mammario metastatico sono enormi. Mentre un tempo l’unica possibilità era la chemioterapia con speranze di sopravvivenza limitate, ora abbiamo terapie mirate in base alle caratteristiche molecolari del cancro».
Tumore ormone dipendente: 7 donne su 10 ancora in vita 3 anni e mezzo dopo la diagnosi
Terapie ad hoc, sottolineano gli oncologi, che offrono in più un grande vantaggio: meno effetti collaterali. L’età media delle donne con cancro al seno metastatico è di 54 anni e addirittura in un caso su tre hanno meno di 45 anni, sono nel pieno dell’attività lavorativa, con una famiglia e spesso con figli minorenni. «Durante il congresso si è fatto il punto sulla ricerca e su cosa possiamo già fare per le nostre pazienti», interviene Michelino De Laurentiis, direttore dell’Oncologia Senologica dell’Istituto Nazionale Tumori Pascale di Napoli «Nel caso della forma ormono-dipendente, la più comune prima della menopausa, c’è un mix di terapia ormonale, che è la cura standard, e un principio attivo chiamato ribociclib: lo studio presentato ha dimostrato che a distanza di tre anni e mezzo sono ancora in vita oltre sette donne su dieci e conducono le loro solite attività perché il mix è ben tollerato.
Tumore Her 2 positivo: un quarto delle donne in vita dopo 10 anni
E per chi invece ha la forma Her 2 positiva, l’altro tipo meno comune, ma comunque diffusa, oggi con due anticorpi monoclonali (Trastuzumab e pertuzumab) insieme a un chemioterapico, a dieci anni sta bene oltre il 25% delle pazienti».
L’immunoterapia insieme alla chemio
Si comincia a intravvedere un futuro anche per il tumore al seno triplo-negativo, la forma più cattiva in assoluto perché ha un’evoluzione dalla diagnosi che è rapida e aggressiva. E ad oggi, l’unica terapia che viene effettuata è la chemio con risultati sconfortanti. Qualcosa sta cambiando però grazie all’immunoterapia. Tutto è partito dall’osservazione che in alcuni casi sulla superficie delle cellule oncogene del triplo negativo è presente una proteina chiamata PDL-1 che rende il tumore invisibile al sistema immunitario e resistente alla chemio. Da qui, il tentativo di provare con un farmaco immunoterapico. La prova è andata bene, come ha dimostrato lo studio IMpassion 130 che è stato presentato in congresso. «Le donne con questa forma di tumore al seno triplo-negativo hanno seguito il trattamento con immunoterapico e chemioterapia», aggiunge il professor Luca Gianni. «I risultati sono ottimi e si stanno mantenendo nel tempo. Sono dati importanti, perché tracciano una via di cura innovativa».