La scoperta è sensazionale. Per la prima volta si è stabilito che la memoria immunitaria del nostro organismo può avere effetto sullo sviluppo dei tumori. In pratica, si è dimostrato che la risposta del corpo a certi virus con cui è entrato in contatto nel corso della vita – i più comuni – può aumentare le probabilità di rallentare un tumore e in alcuni casi guarirlo. Chi insomma si è ammalato a causa di certi virus, ha più probabilità di non contrarre o guarire da un tumore. Siamo quindi più vicini alla scoperta di un vaccino contro il cancro?

L’immunità protegge dal cancro

Ci risponde il dottor Luigi Buonaguro, direttore dell’Unità di Modelli Immunologici Innovativi presso l’Istituto Nazionale per la cura dei Tumori Fondazione Pascale di Napoli. Insieme a due giovani ricercatrici del suo team, Concetta Ragone e Carmen Manolio (30 e 23 anni) ha lavorato per un anno a uno studio che sta per essere pubblicato sull’autorevole Journal for immunotherapy of cancer. «Semplificando – spiega il ricercatore – si può dire che aver avuto più volte l’influenza, o anche il Covid, oppure essere stati esposti all’herpes, aumenta le probabilità di guarire da un tumore. Le malattie pregresse, insomma, diventano una sorta di vaccinazione anti-tumorale preventiva. Circa il Covid, in quest’ottica vaccinarsi è ancora più importante, non solo se si è fragili, ma proprio perché l’iniezione potrebbe rafforzare anche la risposta immunitaria anti cancro, come accade quando si sono già avute altre malattie virali».

Come funziona la memoria immunitaria

La memoria immunitaria delle infezioni virali (e si sospetta anche di quelle batteriche) può rappresentare una sorta di protezione quando il tumore si sviluppa. Il meccanismo è questo: l’organismo risponde a questi virus sviluppando una risposta immunitaria, come quando facciamo un vaccino. E questa memoria immunitaria può risvegliarsi quando dovesse comparire un tumore che ha gli stessi antigeni, o molto simili, a quelli dei virus incontrati nella nostra vita. Quindi la risposta immunitaria antivirale può diventare anti tumorale.

Su cosa agirebbe il vaccino

«Tutto dipende dagli antigeni» spiega il ricercatore. «Per la prima volta si è scoperto che i virus che circolano comunemente, hanno molecole (gli antigeni) che in alcuni casi sono simili ad antigeni presentati dai tumori. Il nostro team, cioè, è riuscito a descrivere la somiglianza tra antigeni virali e antigeni espressi da certe cellule tumorali. Quindi quando il tumore si sviluppa, esprimendo antigeni simili o identici a quelli con cui il corpo è venuto a contatto, le cellule li riconoscono e possono evitare la replicazione della neoplasia». L’omologia al momento è stata identificata per i virus influenzale, l’herpes e il papilloma virus. «Questa somiglianza è fondamentale perché può aiutare a sviluppare dei vaccini che, presentando questi antigeni, aiutino il corpo a reagire, riconoscendo gli antigeni dei tumori. Mediante antigeni omologhi, insomma, si potrebbe indurre una risposta preventiva anti tumorale».

Come si è svolto lo studio

Lo studio è molto innovativo. È durato un anno: è stata realizzata un’analisi bioinformatica comparata di circa 100 antigeni tumorali descritti nel mondo con 10mila sequenze virali, per scoprire le più simili. Per una quindicina di sequenze, ritenute uguali o più simili, si è andati a fondo, effettuando un’analisi della conformazione tramite software di bio-informatica. Poi sono stai eseguiti test in vitro usando i linfociti da una decina di soggetti umani. In particolare, è stata simulata una vaccinazione con gli antigeni virali e verificata la cross-reattività con gli antigeni tumorali simili a quelli virali.

I virus come tanti vaccini naturali

L’importanza dello studio sta nel fatto che per la prima volta si è dimostrato il rapporto tra esposizione a un virus nel corso della vita e memoria immunitaria generata nei confronti di un tumore. È come se i virus incontrati fossero tanti vaccini naturali con cui ci immunizziamo verso questi stessi virus ma anche verso i tumori. «Se produciamo vaccini con questi antigeni, è ipotizzabile l’induzione di una risposta antitumorale preventiva» conclude il dottor Buonaguro. «Significa che magari tra dieci anni potremo avere un unico vaccino preventivo per tutti i tumori».