La Corte di Cassazione, con una sentenza emessa dalle Sezioni penali unite, ha aperto una crepa nel muro del proibizionismo e dalla tolleranza zero. Chiamati a esprimersi su un caso concreto (la messa a dimora di due piante di cannabis in un’abitazione napoletana), i supremi giudici hanno invertito la rotta, si sono allineati a pronunciamenti fin qui minoritari di singole sezioni e hanno sancito: non è reato coltivare cannabis a casa propria, purché ciò avvenga a precise condizioni:
1) l’unico utilizzatore del prodotto home made può essere la persona che materialmente si dedica alla cura delle piante e dunque non è ammessa la vendita a terzi del “raccolto”, né la cessione a componenti del nucleo familiare o ad amici e neppure la fruizione di gruppo.
2) le piante devono essere fatte crescere solo con “tecniche rudimentali”, in “dimensioni minime”.
3) il quantitativo di sostanza stupefacente ricavabile non può che essere “modestissimo”.
Cosa cambia per chi coltiva la cannabis a casa?
Giornali e siti web hanno titolato: “Coltivare cannabis sul terrazzo è legale”, “Non è reato coltivare una piantina di marijuana sul balcone “ e via di questo passo. Qualcuno, attivisti radicali in testa, è arrivato a parlare di “rottura di un tabù” e di “sentenza storica”. Altri commentatori, pur spendendo parole positive per il pronunciamento, frenano e invitano a non
illudersi. La cautela è d’obbligo. La legge sugli stupefacenti non è cambiata. E fino a quando non ci saranno modifiche legislative, in chiave antiproibizionista, i coltivatori domestici rimarranno in balia delle decisioni dei singoli giudici di merito o, prima ancora, delle valutazioni di polizia e carabinieri. Inoltre, nella vicenda specifica e in tutte le altre, restano inalterate le conseguenze amministrative previste per il consumo di sostanze vietate di qualunque provenienza: dalla sospensione della patente al blocco del passaporto per l’espatrio.
La coltivazione della cannabis è stata depenalizzata?
Il protagonista dell’episodio portato all’attenzione dalla Sezione Unite la scamperà, poiché la coltivazione di due sole piante non è ritenuta illegale. Per gli altri microproduttori fai da te – quelli denunciati, quelli sotto processo e quelli che saranno individuati in futuro – si valuterà di volta in volta, anche alla luce dell’ultimo pronunciamento. Spiega l’avvocato Carlo Alberto Zaina, legale del foro di Rimini, collaboratore del sito antiproibizionista Dolcevitaonline.it: «Non si può affatto dire che la coltivazione della cannabis sia stata depenalizzata, come molti media hanno sostenuto. Le Sezioni Unite non stabiliscono nuove norme, forniscono indicazioni di principio. Bisognerà vedere in che senso le danno e che cosa dicono esattamente. Prima di lasciarsi andare a certe conclusioni – continua – occorre aspettare la pubblicazione delle motivazioni e leggerle, per comprendere bene che cosa si intende per “minime dimensioni”, per “rudimentali tecniche”, “scarso numero di piante” e altri principi espressi dalla Corte».
Che valore hanno le sentenze della Cassazione?
Le sentenze della Cassazione non hanno di per sé un valore impositivo e di obbligatoria applicazione, se non per il procedimento giudiziario per il quale vengono emesse». Quelle firmate dalle Sezioni Unite – come precisano altri esperti – «sono molto autorevoli e rappresentano la cosa più vicina a dei precedenti vincolanti prevista dal nostro ordinamento: è probabile, anche se non è scontato né dovuto, che l’orientamento espresso sarà seguito d’ora in avanti dai giudici che dovranno decidere sullo stesso tema».
I coltivatori domestici continuano a rischiare?
Anche i piccoli autoproduttori di marijuana e affini continueranno comunque a correre il rischio di essere perseguiti e mandati a processo. Per abbattere il muro del proibizionismo, per infilarsi nel varco aperto dalla sentenza, si dovrebbe attivare il Parlamento con una legge ad hoc, come da più parti si torna a chiedere. «Fino a quando non ci sarà un intervento legislativo – riprende il filo l’avvocato Zaina – sui singoli casi avremo decisioni diverse, anche di segno contrario l’una rispetto all’altra».
Com’è stata trattata la questione finora?
Nel corso degli anni la stessa Cassazione si è espressa in modo contrapposto, oscillando da un estremo all’altro, o con sfumature diverse. «Nel 2008 due sentenze gemelle delle Sezioni Unite avevano concluso che coltivare la cannabis è reato, indipendentemente dalla destinazione ad uso personale del prodotto. Nel luglio 2011 un’altra sentenza, firmata da una sezione singola, ha decretato la non punibilità della coltivazione di un’unica pianta. Nell’agosto 2014 questa posizione è stata ribadita, sempre da una singola sezione, con il via libera all’assoluzione di un uomo trovato con due piante casalinghe. Nel settembre 2015 c’è stato un dietro front, con la conferma della condanna di un imputato accusato di aver coltivato tre piantine a scopo personale. La Corte Costituzionale nel 2016 ha ribadito che coltivare piante da cui si possono estrarre sostanze “proibite” è sempre reato, indipendentemente dalla quantità. Nel 2018 la Cassazione è tornata a ritenere non penalmente rilevante la semina e la crescita di 6 piantine».