La storia e l’appello di Walter
Walter De Benedetto è un uomo di 48 anni, vive vicino ad Arezzo. Soffre di artrite reumatoide, malattia altamente invalidante che causa forti dolori e lo costringe a stare su una sedia a rotelle o a letto. Musicista e poeta, finché ha potuto ha lavorato all’Usl di Arezzo. Ora è sui giornali nazionali e al centro dell’attenzione. “Il dolore – si sfoga – non sa aspettare, non aspetta… Da tempo non riesco ad ottenere dalla sanità pubblica la quantità giusta di cannabis terapeutica, quella che serve per curarmi. È l’unica sostanza che funziona davvero su di me, però ho bisogno anche di due o tre grammi al giorno. L’ho coltivata a casa. E ora rischio il carcere”.
Denunciato per le piantine di cannabis
A inizio ottobre Walter è stato denunciato dai carabinieri per la piccola piantagione domestica allestita nel giardino di casa con la collaborazione materiale dell’’amico Marco. Il paziente 48enne, committente del destinatario del raccolto, ha cercato di addossarsi la responsabilità del tutto. Non c’è riuscito, non per intero. L’aiutante è finito in manette (poi scarcerato e mandato a giudizio, per direttissima, a novembre). Lui stesso potrebbe essere processato e, nella peggiore delle ipotesi, condannato. Si vedrà. Intanto ha deciso di rompere il silenzio scrivendo una appello alle massime cariche dello Stato e raccontandosi su social e giornali. Conoscenti e sostenitori si sono mobilitati e hanno aperto un gruppo su Facebook, che si chiama “Io sto con Walter (ma anche con Marco)”. In pochi giorni le adesioni hanno quasi raggiunto quota duemila.
Ecco il video dell’appello di Walter:
Come può essere reato una scelta obbligata?
Un caso che interroga e fa discutere. Perché non è raro e perché nella distribuzione della cannabis di Stato ci sono criticità e problemi, denunciati anche da associazioni e addetti ai lavori, oltre che dai diretti interessati. Quante persone si trovano nella stessa situazione di Walter? Dove sta il confine tra un reato e una scelta obbligata, per necessità? La politica può e deve intervenire? E come?
“Siamo in migliaia, aiutateci”
“La mia – ricapitola Walter – è una storia di negazione del diritto alla salute e all’accesso a terapie consentite nel nostro Paese, per curare il dolore grazie alla cannabis. Senza, la vita per uno come me risulta molto più difficile da vivere di quanto già non sia. Da tempo non riesco a ottenere la quantità che mi occorre per affrontare il dolore che quotidianamente mi accompagna. La scarsità dei prodotti è dovuta a una crescente domanda a cui l’Italia non è riuscita a corrispondere con la produzione nazionale o con le importazioni. So che la mia non è una condizione individuale – continua l’autore dell’appello – Sono, siamo, in migliaia a doverci confrontare tutti i giorni con questa mancanza. E come siamo costretti a rispondere a uno Stato che non garantisce i diritti? Ci arrangiamo, spesso grazie alla solidarietà fattiva di amici e parenti o di associazioni, per non dovere soffrire le pene dell’inferno perché il dolore non aspetta. Possibile che per veder garantito il diritto alla salute , il diritto a vivere degnamente, occorra arrivare a disobbedire e rischiare il carcere per poter ottenere una terapia?”. “Non ho commesso un reato penale – sempre parole sue, raccolte dal quotidiano Il foglio – ma un atto di disobbedienza, per la mancanza del farmaco. Vorrei che il mio amico Marco, arrestato al posto mio per avermi aiutato nella coltivazione, venisse scagionato. Trovo che sia un’infamia contro un innocente che mi ha soltanto fatto un favore”.
“Lo Stato deve garantire i diritti”
De Benedetto sollecita l’intervento del presidente del consiglio, dei ministri della Salute e della Difesa, dei Parlamento intero. “In queste ore in cui state definendo la legge di Bilancio – scrive ai vertici delle istituzioni – vi chiedo, vi chiediamo, di prevedere ulteriori finanziamenti per far sì che noi malati, tra le varie terapie previste e rimborsate, si possa finalmente avere accesso a quei trattamenti che su di noi funzionano e che hanno la pianta proibita della cannabis come ingrediente fondamentale. Anche l’Organizzazione mondiale della sanità ritiene che ci siano ampi margini di impiego terapeutico della pianta medica, perché non ascoltarla?”.
Non solo. Walter rilancia una proposta che periodicamente riemerge: la legalizzazione della cannabis, oggetto di un disegno di legge depositato nel 2016 alla Camera, con 68mila sottoscrizioni. “Proprio perché non possiamo andare avanti con soluzioni temporanee o concessioni a casi umani – incalza il 48enne – perché non legalizziamo definitivamente la cannabis in modo da non dover rischiare il carcere, se e quando decidiamo di non far del male a nessuno e bene a noi stessi?”.
Protesta di piazza e richieste
Anche gli attivisti dell’associazione Luca Coscioni e i Radicali italiani, schierati al suo fianco, tornano all’attacco. Hanno organizzato un sit in davanti a Montecitorio e la consegna al presidente della Camera delle oltre 25.000 firme raccolte nel 2019 a sostegno del ddl. Invocano la ripresa dell’iter parlamentare per il varo della normativa antiproibizionista. Le aspettative sono alte. “Per la prima volta abbiamo una maggioranza parlamentare i cui membri, separatamente, si sono espressi a favore della legalizzazione. E se lo facessero ora tutti insieme? Legalizzare la cannabis – argomentano – vuol dire eliminare i costi del proibizionismo che pesano sulle tasche e sulle vite di tutti i cittadini e togliere lavoro alla criminalità organizzata”.
I rischi per i malati tagliati fuori
Il medico Francesco Crestani, presidente dell’Associazione cannabis terapeutica e referente italiano dell’International association for cannabinoids in medicine, ricorda i pericoli cui si può esporre chi non riesce ad accedere alla cannabis terapeutica, per carenza di forniture, complicazioni burocratiche, difficoltà ad avere una prescrizione e per le giuste dosi. I ripieghi possibili – oltre alla sostituzione con altri tipi di farmaci, di diversa efficacia – sono l’acquisto di dosi da strada, nelle piazze dello spaccio, e l’autoproduzione.
“La cannabis di Stato – rammenta – è controllata e certificata, ha la corretta percentuale di principio attivo. Viene prodotta dallo Stabilimento chimico-farmaceutico militare di Firenze e importata da Olanda e Canada, via Germania. Non basta però per tutte le esigenze. In quella da strada non si sa che cosa c’è e ci può essere di tutto, con le immaginabili conseguenze per la salute: insetticidi, pesticidi, metalli pesanti, paglia, principio attivo potenziato. Anche chi prova a coltivare da solo le piantine – continua– non sa che cosa contengano esattamente, non conosce la qualità e la composizione della cannabis ricavabile. Senza contare le possibili implicazioni penali e amministrative”.
Dalle misure amministrative al processo
Chi allestisce una piccola serra domestica è passibile di denuncia, se non addirittura di arresto (dipende della singole situazioni e dalle valutazioni fatte dalle forze di polizia in azione). E se si arriva ai processi, sta ai giudici riconoscere o meno lo stato di necessità (che non rende punibili le condotteillegali) e decidere di conseguenza. Non è detto si arrivi al carcere – l’epilogo temuto da Walter – anche in caso di condanna. La pena potrebbe essere bassa (e per poche piantine di cannabis in genere lo è) e quindi congelata con la sospensione condizionale (sempre che non ci siano recidive). E se la condanna effettiva arriva (e non è stata applicata la custodia cautelare, prima) non si va dritti in prigione, immediatamente. Si può impugnare la sentenza in Appello e in Cassazione, spostando in avanti l’esecuzione della pena (teoricamente scontabile con modalità diverse dalla carcerazione o soggetta a sospensione o differimento, per gravi motivi di salute). Quando un assuntore o un coltivatore dichiara o ammette il solo consumo personale, come comprovata e palese giustificazione, parte l’iter amministrativo: scatta una segnalazione alla prefettura, con tutte le conseguenze del caso (convocazione per un colloquio, ammonizione, sospensione della patente di guida e del passaporto…).