La chiamano Wondergilli e in effetti Carlotta Gilli è meravigliosa. Non si trasforma, però, nella cabina del telefono come la Wonder woman che viene in mente a tutti noi perché questa giovane donna di appena 20 anni è sempre se stessa, fuori e dentro la vasca: con i capelli raccolti e bagnati, il sorriso di una figlia, le lentiggini di una bimba. Una semplicità che sprigiona dolcezza.
La raggiungiamo in videochiamata mentre si trova ancora a Tokyo, in quelle Paralimpiadi che per l’Italia sono già diventate leggendarie per l’incetta di medaglie (65, più dell’edizione di Seul che era stata la più medagliata), e che di sicuro hanno proiettato le imprese degli atleti con disabilità dentro all’orizzonte di tutti noi, così poco abituati a celebrarli e riconoscerli. Accanto a una Bebe Vio, insomma, si stanno affacciando tanti altri sportivi da seguire e ammirare. E Carlotta adesso è tra quelli che vincono di più.
Tutto inizia a 6 anni
A Tokyo è sera e lei ci risponde dalla stanza che divideva con tre compagne di squadra, già partite, anche loro con qualche medaglia al collo. Carlotta deve preparare le valigie. «Le medaglie le metto nel bagaglio a mano, non si sa mai» ci dice. In effetti pesano tanto, in tutti i sensi: sono cinque, di cui due d’oro. In questa edizione da record Carlotta ha fatto la parte del leone, come tutto il nuoto italiano, che sta vivendo un momento magico con le sue 39 medaglie. E così cominciamo a conoscere anche il suo nome e il suo viso, che raccontano una storia bellissima, come lo sono tutte quelle di chi ha incontrato una disabilità e l’ha inglobata nella sua vita, masticandola e digerendola per trasformarla in qualcos’altro. Ecco perché Carlotta è ancora più wonder. «Ricordo solo che quando i miei 10 decimi hanno cominciato a ridursi mi sono sentita sola e sperduta, tutto era inspiegabile e confuso».
Due anni per avere la diagnosi
Aveva sei anni quando la malattia di Stargardt, una retinopatia degenerativa, si è palesata. Lei nuotava già. Ci sono voluti due anni per avere la diagnosi e intanto i decimi calavano, ma la piscina restava il suo spazio di libertà e grandezza. «Eppure volevo giocare a calcio» ci racconta ridendo e rievocando tutte le volte in cui papà e mamma hanno insistito per farla migliorare nel nuoto, una scuola per il corpo e per la vita. Ci avevano visto giusto: «Non smetterò mai di ringraziarli». E pensare che la mamma è quanto di più lontano possa esserci dallo sport («Lei a scuola preferiva la lezione di latino a quella di educazione fisica») e il papà scia e va a cavallo, attività a secco che col nuoto hanno poco a che fare. Tant’è che l’esperta di sport a casa è sua nonna Rita, che la vizia con una cheesecake speciale che ora, partendo, Carlotta vede avvicinarsi sempre di più.
La scuola e l’università
Dalla sua Moncalieri dei primi anni Duemila a Tokyo sono passati un bel po’ di anni e migliaia di chilometri di bracciate, tanti campionati regionali, nazionali, giovanili. La vista che man mano calava è diventata la sua normalità: «Come gli altri si devono adeguare al mondo, così ho fatto io. Dovevo far finta che il mondo fosse tutto così. E ci sono riuscita. Non mi sono lasciata condizionare da chi mi diceva di scegliere sempre la strada più semplice: ho fatto il liceo scientifico più duro di Torino e ho proseguito con l’agonismo, quando molti ragazzi mollano». Così è stato anche per l’università: Carlotta frequenta la Facoltà di Scienze e tecniche psicologiche a Torino, poi ha in programma un master. «Il modo per fare tutto – se vuoi farlo – lo trovi» ci dice. Insomma niente alibi e niente sconti, un po’ come Bebe Vio che non ha rivelato nulla del grave problema di salute avuto prima delle gare, per non dar modo a nessuno di trovarle giustificazioni.
Carlotta ambassador di P&G
Si gareggia ad armi pari, anche con quella vita che ti ha fatto lo sgambetto. «Per me è tutto così normale che non trovo difficoltà, non mi ricordo neanche il mondo a colori». Perché, alla fine, anche il buio in cui si ritrova chi perde la vista, o un braccio, una gamba, può essere colorato. Tutta questione di testa, forza, determinazione. Capire che puoi porti anche tu obiettivi importanti e arrivarci. Anche per questo Carlotta Gilli è ambassador della campagna di Procter & Gamble “La tua bontà è la tua grandezza”, un’iniziativa che celebra gli atleti nella loro dimensione sportiva ma soprattutto umana, nel nome dell’inclusione, della condivisione, della solidarietà.
La sua dedica inclusiva dopo l’oro nei 100 farfalla
Dal suo profilo Instagram Carlotta, dopo i 100 metri farfalla con cui ha vinto l’oro e superato il record del mondo e paralimpico, ringrazia la compagna di squadra Alessia Berra, argento dietro di lei, e tutto lo staff. «Con il primo e secondo posto abbiamo fatto un capolavoro. Questa medaglia è stata vinta nei mesi passati, grazie al supporto del mio allenatore, del mio staff, delle mie società e della mia famiglia».
Il suo impegno per Telethon e Croce Rossa Italiana
Il suo volto pulito, la sua storia, le sue vittorie, il suo spirito sportivo al di fuori dello sport, sono diventati unaa chiave per allargare lo sguardo di tutti sulla fragilità. Per questo Carlotta è anche ambassador della Fondazione Telethon, per promuovere iniziative a favore della ricerca sulle malattie genetiche rare, e insieme a P&G collabora con la Croce Rossa Italiana, per fornire aiuti concreti alle famiglie in difficoltà attraverso pacchi con prodotti essenziali per la cura della persona e la pulizia della casa.