Trentuno anni, cinque lingue, tanta esperienza in mare e, a quanto pare, una bella dose di coraggio. È questo il profilo di Carola Rackete, la capitana della nave Sea Watch 3 che il 26 giugno ha deciso di sfidare le regole imposte dal decreto sicurezza-bis e dal ministro Matteo Salvini, entrando in acque territoriali italiane vicino a Lampedusa per tentare di far sbarcare i 42 migranti che porta a bordo.
La vicenda è cominciata due settimane prima, quando la Sea Watch 3, una nave della Ong omonima, ha salvato in mare 42 persone. Pur di tentare uno sbarco in Italia, in contrasto con la politica dei porti chiusi, è stato tentato un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. La quale non ha dato seguito alle richieste. Di lì la decisione di Carola di forzare il blocco ed entrare in acque italiane.
La storia di Carola Rackete
Di origini tedesche, la Rackete ha un solo profilo social, su LinkedIn. Sul quale si definisce con questi tre concetti-chiave: “Conservazione della natura. Azione umanitaria. E un po’ di scienza polare”. Oltre alla sua lingua madre, parla spagnolo, inglese, francese e russo. Si è laureata in scienze nautiche all’Università di Jade, nel 2011. Poi ha conseguito un Master in conservazione ambientale in Inghilterra, all’Università di Edge Hill. Ha fatto la guida turistica e si è occupata di manutenzione delle attrezzature del Parco Naturale della Kamchatka, tra i vulcani.
Poi, a 23 anni, ha trovato posto in plancia, su una nave rompighiaccio operativa al Polo Nord per l’Alfred Wegener Institute (un importante istituto oceanografico tedesco). Due anni dopo è diventata secondo ufficiale sulla Ocean Diamond, una nave da esplorazione, sempre fra i ghiacci. Poi stesso ruolo, ma sulla Artic Sunrise di Greenpeace. Ha lavorato anche sulla flotta della British Antartic Survey. Lo scorso anno ha fatto per tre mesi la guida per le Poseidon Expeditions, nell’artico russo, tenendo lezioni sull’ecologie e conducendo spedizioni a terra e in barca. In Francia è stata volontaria per la lega per la protezione degli uccelli e ha curato rapaci, uccelli marini e piccoli mammiferi.
Dal 2016 Carola inizia a collaborare con Sea Watch
Dal 2016 ha iniziato a collaborare con Sea Watch. Esperienza che l’ha portata a questo atto di disobbedienza: sul profilo Twitter della organizzazione umanitaria ha comunicato la sua decisione «di entrare in porto a Lampedusa. So cosa rischio, ma i 42 naufraghi a bordo sono allo stremo».
«La mia vita è stata facile, ho potuto frequentare tre università, sono bianca, tedesca, nata in un paese ricco e con il passaporto giusto», ha dichiarato Carola al quotidiano Repubblica. «Quando me ne sono resa conto ho sentito un obbligo morale di aiutare chi non aveva le mie stesse opportunità».
L’arresto e la scarcerazione
La nave è rimasta per un po’ in stallo fuori dal porto di Lampedusa, oggetto dei controlli della Guardia di Finanza. Al tentativo di sbarcare, il contatto con una motovedetta della GDF affiancata alla nave ha portato all’arresto della comandante della Sea Watch 3, accusata di resistenza e violenza a una nave da guerra e resistenza a pubblico ufficiale. Carola è tornata libera – era ai domiciliari dopo una notte passata in caserma – dopo quattro giorni e una decisione netta del giudice per le indagini preliminari di Agrigento, Alessandra Vella. La quale non ha convalidato l’arresto e ha escluso il reato di resistenza e violenza a nave da guerra. Ha anche ritenuto che la resistenza a pubblico ufficiale fosse giustificata da una “scriminante” legata all’avere agito “all’adempimento di un dovere”, quello di salvare vite umane in mare. Il gip ha anche sottolineato come la scelta del porto di Lampedusa sia risultata obbligatoria, perché i porti della Libia e della Tunisia non sono ritenuti porti sicuri. La comandante ora dovrà ripresentarsi dai pm per l’altro filone di indagine che la riguarda, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. «Forse è il caso che emigro in Australia ad occuparmi di albatros» avrebbe scherzato lei prima di lasciare momentaneamente Agrigento.
Lo scontro con Salvini
Certo, dopo la sentenza c’è una certa serenità. Perché la giudice ha stabilito che le direttive ministeriali sui porti chiusi e il divieto di ingresso in acque territoriali previsto dal decreto sicurezza e per il quale le motovedette italiane hanno intimato l’alt alla Sea Watch, non si possono applicare. Perché una nave che soccorre persone non può essere giudicata come un elemento offensivo per la sicurezza nazionale, e perché il comandante ha l’obbligo di portare in salvo le persone soccorse. Una posizione che non è piaciuta al ministro dell’Interno Matteo Salvini, che già aveva auspicato l’arresto e l’espulsione della Rackete. «È una sentenza politica – ha detto Salvini – Mettere a rischio la vita di cinque militari della guardia di finanza merita il carcere? Secondo questo giudice no. È una cosa strana. È una sentenza che a me ha provocato vergogna e rabbia».
Il destino dei 42 migranti
In tutto questo, si è per un attimo perso di vista l’aspetto più importante: il destino dei migranti. I 42 a bordo della Sea Watch 3 sono stati fatti sbarcare e sono nel centro di accoglienza di Lampedusa. Dovrebbero essere distribuiti tra diversi paesi europei, inclusa la Francia che ha dato disponibilità ad accoglierne 10.