Avere una vita buona, tranquilla, felice e improvvisamente precipitare all’inferno. Guardare con fiducia e amore al proprio padre e di colpo ritrovarsi di fronte a un vero e proprio mostro come può accadere nel peggiore degli incubi. A volte lo specchio oscuro della vita di tutti i giorni riesce a oltrepassare in crudeltà anche la più fervida fantasia. Caroline Darian, figlia di quella Gisèle Pelicot protagonista vittoriosa del più terribile processo di stupro che si ricordi, ce lo racconta in E ho smesso di chiamarti padre (Utet), adesso in libreria.
La sua voce è nitida, razionale, nel tentativo di porre in qualche modo una distanza fra sé e quel padre nefasto. È spinta dalla volontà di far sapere a tutte le donne che a volte la persona che hanno accanto – così inoffensiva, così gentile e attenta – può nascondere dietro lo schermo di un computer abissi di tenebre. Ma non solo: Caroline vuol farci capire che quelle tenebre abitano inspiegabilmente l’anima di ogni uomo e possono erompere se non sono tenute a bada. E che le vittime devono essere aiutate con ogni mezzo. E che le istituzioni non sono mai pronte per un compito così arduo.

Caroline Darian: quando ho scoperto chi era mio padre Dominique Pelicot
Caroline è appena rientrata dal lavoro, ha poco più di 40 anni, una casa a Parigi, un lavoro come responsabile delle comunicazioni di un’azienda. Ha un marito che lavora per un programma radiofonico al mattino e un figlio di 6 anni. Quella sera di novembre 2020, precisamente alle 20,25 di un qualsiasi maledetto lunedì, riceve una telefonata dalla madre Gisèle, che le chiede di trovare un posto tranquillo dove sedersi perché ha bisogno di parlare con lei di un fatto grave. Cosa poteva essere accaduto? In un interminabile attimo Caroline pensa a un incidente, a un malessere: il padre è sovrappeso e ha difficoltà di respiro.
No, questa volta non è una malattia qualsiasi a colpire la sua famiglia. Ma qualcosa di ancora più inspiegabile, di più oscuro. Suo padre Dominique, allora 68enne, è stato arrestato dalla polizia per aver filmato sotto le gonne di alcune donne in un supermercato con una telecamera nascosta in una borsa. E la polizia, passando al setaccio telefonino, computer e hard disk, trova l’orrore.
Il padre di Caroline Darian, Dominique Pelicot, nell’arco di circa 10 anni, ha girato migliaia di filmati e scattato centinaia di foto in cui sua moglie Gisèle, dopo essere stata drogata, viene stuprata nel sonno da lui e da una schiera di uomini. Si scoprirà che sono circa 70 (o forse più) i maschi, tra i 21 e i 71 anni, che si sono avventurati in quella camera, su quel letto, il loro letto. E sono di tutti i tipi: soldati, giornalisti, camionisti, avvocati, buttafuori… «È stato come essere colpita da un’onda, è stato un cataclisma. Tutte le fondamenta del mio essere si sono sbriciolate» ha detto Caroline.
Prima e dopo l’orrore
Come mettere insieme l’orrore con le immagini di suo padre e di sua madre che si erano sposati giovani e felici, lui elettricista, lei manager, e avevano allevato i loro tre figli, Caroline e i suoi due fratelli David e Florian, in una casa con giardino sulle rive del fiume Marne, alla periferia di Parigi? E i loro weekend in bicicletta nella campagna, i barbecue, i tuffi nella piscina della loro nuova casa di Mazan? Come può Caroline far combaciare con questo mostro il ricordo di suo padre che l’accompagna bambina a scuola perché non vuole che prenda l’autobus da sola? O i viaggi estivi nella Renault 25 mentre lui canta Barry White? «Non posso aggrapparmi a quei ricordi. Ogni tanto saltano fuori, ma quella è stata un’altra vita, una vita precedente. Questa è adesso».
Racconta Caroline 4 anni dopo quella sera e poche settimane dopo il verdetto di quello che è diventato il più grande processo di stupro nella storia della Francia e, forse, d’Europa. «Il processo è stato un calvario, molto duro dal punto di vista umano». Rivedere in quell’occasione le immagini di decine di uomini intenti a violentare la madre Gisèle in stato quasi comatoso e aver scoperto che il padre nascondeva i farmaci in un calzino da tennis dentro una scarpa da trekking nel suo garage, schiacciando poi i sonniferi e gli ansiolitici nel purè di patate, nel caffè o nel gelato al lampone che serviva alla moglie, vuol dire diventare di colpo consapevoli che si è disperatamente soli, indifesi, esposti, non solo come esseri umani, ma ancor più come donne.
Caroline Darian: mia madre Gisèle Pelicot è un’eroina
Dominique è stato condannato a 20 anni di carcere e anche tutti i 50 uomini che sono sfilati in quel tribunale – gli altri non è stato ancora possibile rintracciarli – sono stati condannati. Gisèle è diventata un’eroina, una donna che ha fatto la storia, acclamata perché ha voluto il processo a porte aperte affinché tutti sapessero «che la vergogna non era dalla mia parte». Caroline ha detto:
«Sono davvero fiera di mia madre. Ha aperto la porta, ha spianato la strada per le altre vittime di violenza sessuale. Ha fatto loro capire che non sono più sole. Questa è la forza. Per questa ragione per me è un’eroina… E l’ha fatto brillantemente. È entrata ogni giorno in quell’aula con intorno migliaia di giornalisti, con gli occhi di tutti addosso, umiliata dagli avvocati della difesa e dalle loro insinuazioni. Francamente devi essere davvero molto forte per affrontare tutto ciò con la sua dignità. Ha avuto la calma di una regina medioevale che sovrasta le rovine intorno a lei… Mia madre ha una resilienza che forse le viene dall’aver perduto la madre per un tumore quando aveva 9 anni».
Difficile davvero affrontare quella prova perché più si scavava più il nero affiorava: nessuna donna della famiglia era al sicuro. Dominique aveva messo telecamere nelle stanze private dei suoi figli e delle loro mogli che venivano riprese di nascosto. Caroline si è riconosciuta in due foto, addormentata, con biancheria non sua addosso.
Caroline: storia del mio nuovo cognome, Darian
Dominique ha abusato anche di lei? «L’ho provocato in ogni modo per farmi rispondere, ma lui si è sempre sottratto, lasciando tutto nella nebbia» ha raccontato. E lei avrebbe potuto forse capire da qualche indizio – sua madre era spesso confusa e aveva disturbi ginecologici – quale misfatto si stava consumando sotto i suoi occhi? Nel libro scrive: «L’ignoranza è colpevole».
Ma anche: «Oggi penso che no, era impossibile capirlo perché era tutto organizzato, pianificato. Siamo tutti vittime in questa famiglia. Io ho perso una parte della mia identità e porto un doppio, terribile peso: sono figlia della vittima, ma anche del carnefice. Non potete immaginare il senso di solitudine e di tristezza». Ma su queste rovine Caroline sa che deve ricostruire la propria vita e sa che non è sola. Il primo atto è stato quello di darsi un nuovo cognome: Darian che nasce dall’unione dei nomi dei suoi fratelli, David e Florian.