Cogne, Avetrana, Novi Ligure. Ci sono paesi che, purtroppo, nella memoria collettiva sono associati a tragedie che hanno catturato l’opinione pubblica. Uguale sorte molto probabilmente vivrà anche Caronia, paesino di 3.000 anime in provincia di Messina. È qui che si è consumato quello che per tutti è già diventato il “giallo dell’estate 2020”.
È il 3 agosto quando la dj Viviana Parisi, 43 anni, si allontana da casa con il figlio Gioele, che di anni ne ha solo 4. Al marito, Daniele Mondello, dice che sta andando al centro commerciale. Avrebbe dovuto percorrere 30 km, invece ne macina un centinaio, interrompendo la corsa solo dopo aver impattato con l’auto contro il guard-rail dell’autostrada. Poi si ferma in una piazzola, lascia nella Opel Corsa alcuni documenti. Scompare. Dopo 5 giorni di ricerche, l’8 agosto, viene ritrovato il corpo di Viviana vicino a un traliccio della corrente elettrica dal quale, questa la tesi più accreditata, si sarebbe buttata suicidandosi. Dopo 16 giorni in mezzo ai rovi, non lontano da dove era stata trovata l’auto, viene rinvenuto il corpo senza vita del bambino. Determinante l’appello sui social del papà Daniele, che aveva chiesto a volontari di perlustrare la zona insieme alle forze dell’ordine. E, infatti, a rintracciare Gioele è proprio un ex carabiniere, Giuseppe Di Bello: «L’ho trovato dove gli altri non hanno cercato» dirà.
Ogni provincia ha un piano ad hoc per la ricerca delle persone scomparse: è stato avviato?
Mentre le indagini proseguono, però, non si placano le polemiche: perché così tanto tempo per ritrovare Viviana (che peraltro era stata avvistata da un drone delle forze dell’ordine già il giorno stesso della scomparsa) e, soprattutto, Gioele? «È indubbio che siano stati commessi errori nella prima fase delle ricerche» spiega Antonio La Scala, uno degli avvocati più esperti di casi di scomparsa in Italia. «Ma sono stati fatti dalla prefettura, non dalla procura. La legge, infatti, stabilisce chiaramente che a coordinare le ricerche debba essere il prefetto». Non solo. «Ogni provincia» continua La Scala «ha un piano ad hoc per la ricerca di persone scomparse e, dalle ricostruzioni, non si capisce se sia stato attuato o meno». Il punto è dirimente: se infatti nelle ricerche sono stati chiamati anche uomini dell’esercito e personale esterno delle forze dell’ordine, è altrettanto vero che «il piano stabilisce che le ricerche devono essere condotte in primo luogo dalle associazioni e dalla Protezione civile del luogo, che ben conoscono la morfologia del territorio».
Non a caso, a trovare Gioele è stato un ex carabiniere del posto. Sul punto è molto chiaro anche il professor Giulio Vasaturo, docente di Antropologia criminale alla Sapienza di Roma: sebbene «parlare di errori sia prematuro e ovviamente saranno le indagini a stabilirlo» ( i legali della famiglia Mondello hanno già presentato un esposto a riguardo), restano delle criticità nel modo stesso in cui sono state concepite le ricerche in un primo momento. «Il fatto che siano stati chiamati i carabinieri esperti nella caccia ai latitanti rivela che, inizialmente, si è cercato di ricostruire i percorsi di allontanamento secondo una logica razionale che, purtroppo, non orienta le condotte di chi, come Viviana, manifestava un quadro delirante» spiega il criminologo.
Il disturbo psichiatrico della mamma era testimoniato dai certificati medici: è stato sottovalutato?
Eppure segnali allarmanti c’erano stati sin da subito: in macchina gli investigatori hanno ritrovato i certificati medici della donna, da cui emergeva soffrisse di paranoie. In più, pare che prima dell’incidente andasse con la sua auto a zig-zag, segno probabilmente di un suo stato alterato. Sulla necessità di partire dallo squilibrio mentale della dj per comprendere cosa sia accaduto, è certo anche Ernesto Savona, direttore di Transcrime (Joint Research Centre on Transnational Crime) all’università di Trento: «In casi come quello di Caronia avvisaglie di disturbi mentali che possono portare anche al suicidio vengono sempre dati nei giorni precedenti. Le spie ci sono, il problema è accorgersene. Probabilmente amici e familiari non sono riusciti a coglierle». E questo, continua Savona, spiega anche un altro dettaglio: «Il perché sia stato lasciato Gioele solo con la madre».
A condizionare le ricerche, e a infittire il mistero, resta anche il testimone che ha visto Viviana oltrepassare il guard-rail con Gioele, ma che ha raccontato l’episodio solo dopo diversi giorni. «Giorni di silenzio che sono stati sicuramente decisivi» riflette La Scala. Pur non colpevolizzando nessuno, è necessario capirne il perché. «Sarebbe stato certamente opportuno provare a raggiungere e dare immediato supporto alla donna» spiega Vasaturo «ma questa è una valutazione che ci appare evidente col “senno del poi”; non possiamo escludere, tanto per fare un esempio, che il testimone abbia pensato che in realtà la mamma si sia allontanata per semplici bisogni fisiologici del figlio». Saranno dunque le indagini e i referti dei medici legali ad accertare cosa sia accaduto. Negli ultimi giorni ha ripreso corpo l’ipotesi secondo cui Gioele sarebbe morto in auto: lo testimonierebbero le analisi sulle lesioni del parabrezza in auto.
I dubbi, però, restano: «È strano che non siano emersi sin da subito tali rilievi, ecco perché credo sia in piedi ancora la strada dell’omicidio-suicidio» spiega Savona. In più, secondo la famiglia, quelle lesioni sarebbero precedenti al 3 agosto. Secondo il criminologo Vasaturo, invece, «non sarebbe impossibile che, dopo la morte accidentale di Gioele, Viviana abbia deciso di adagiare il figlio nella campagna, prima di lanciarsi nel vuoto». Resta da capire perché la mamma, dopo l’incidente e qualunque ne sia stato l’esito, non abbia chiesto aiuto ma «probabilmente non lo comprenderemo mai fino in fondo, proprio per il disturbo psichiatrico di cui la donna era vittima. Ho idea che in ogni caso avrebbe voluto togliersi la vita».
Anche nel caso di Yara il corpo è stato ritrovato dopo 3 mesi: i ricercatori devono essere più specializzati?
Al di là delle ricostruzioni, resta una giustizia messa alla gogna sui social e, di contro, l’idea che indagini fai-da-te possano invece essere determinanti. «Non è la prima volta che accade» spiega Vasaturo. «Simile fu il caso di Yara Gambirasio, scomparsa nel novembre 2010. Il corpo della 13enne venne trovato 3 mesi dopo la morte in un campo poco distante da Brembate, che era stato battuto per giorni e giorni. Anche in quel caso ci furono aspre polemiche».
Analogie anche con la tragedia di Provvidenza Grassi, scomparsa peraltro a pochi chilometri da Caronia. Per mesi venne cercata ovunque, tranne sotto il viadotto dell’autostrada Messina-Catania, dove venne rinvenuta dopo 6 mesi. Il tema, secondo La Scala, è che «troppo spesso vengono condotte ricerche senza persone specializzate, senza persone che conoscono la morfologia del territorio. Ma si tratta di un aspetto che sovente si rivela fondamentale». Chissà se anche in questo terribile caso avrebbe cambiato le cose.