I calzini arcobaleno che spuntano sotto la divisa nera. I capelli bianchi portati con la disinvoltura di chi li ha visti arrivare a 26 anni, mentre faceva la lavapiatti di notte e la praticante di giorno. Cathy La Torre è l’avvocata più popolare di Instagram. Una che a 40 anni guida lo studio legale più celebre d’Italia per le cause sociali.
È lei ad aver ottenuto che per la prima volta una non vedente facesse l’esame per diventare giudice. Sempre lei ad aver convinto i primi sindaci a trascrivere gli atti di nascita dei piccoli nati da coppie di omosessuali all’estero con il nome di entrambi i genitori. E questo solo per citare alcune delle cause impossibili in cui si è avventurata, aprendo la strada a nuove leggi, nuove sentenze. Convinta com’è che Nessuna causa è persa, per citare il titolo del suo libro appena uscito per Mondadori.
«Avvocato si nasce», scrivi. Cosa ha dentro chi nasce avvocato? «L’avvocatura è una tensione interna verso la ricerca della giustizia, è la consapevolezza della sua funzione sociale. Sono cresciuta nella Sicilia degli anni ’80 e ’90, dove ho visto morire ammazzato chi si ribellava al pizzo e ho visto amici e parenti finire sotto scorta. Quella Sicilia mi ha insegnato che ci si può ribellare, che ci sono persone che lottano».
La tua più grande vittoria come avvocata? «Quando una persona mi dice che, grazie a una battaglia vinta, è cambiata la sua vita, ha avuto un diritto che prima le era negato. Questa è la mia più grande vittoria: il cambiamento concreto di una esistenza, nella materialità e immaterialità».
Accompagnare le persone lungo un percorso di giustizia può significare anche trasgredire le regole? «Amo i diritti e un po’ meno le regole. Ma so distinguere quando bisogna rispettare una regola per il bene comune e quando bisogna battersi perché quella regola sia cambiata. E, nel corso della battaglia per cambiarla, può essere necessario infrangerla. Quando Luca Coscioni accompagna una persona che vuole decidere il suo destino sta infrangendo una regola, ma io sono con lui, lo farei mille volte».
«La solitudine È una povertà immateriale di cui ci stiamo rendendo conto adesso. I cittadini hanno diritto a non essere soli»
Ma davvero cambiare le leggi è compito di un avvocato? «Noi non cambiamo la legge, siamo solo uno strumento. Chi cambia la legge sono le persone che decidono con il loro corpo e la loro vita di prestarsi a una battaglia, chi decide di essere una causa, non solo per sé ma anche per gli altri. Senza di loro non esisterebbe il cambiamento. Adesso mi sto occupando dell’accesso all’università di una persona con autismo ad alto funzionamento: queste sono le cause pilota. Qualcuno rompe anche per gli altri».
Oggi sarai sommersa dalle cause da difendere: come le scegli? «Sono le cause che scelgono gli avvocati e non viceversa. Le persone sanno che possono rivolgersi a noi quando tante porte sono state chiuse loro in faccia, quando in troppi hanno detto che… non c’è un precedente, non c’è giurisprudenza. Noi abbiamo il dovere di batterci anche per diritti che non esistono. Io nella mia mente immagino diritti che non sono ancora stati codificati: il diritto al benessere, alla felicità, al sorriso, a respirare buona aria, a non essere soli».
«Ho cominciato a interessarmi alla condizione della donna nella chiesa. “Se non ti mobiliti per difendere i diritti degli altri, nessuno si mobiliterà per difendere i tuoi” diceva Harvey Milk»
Ci sono nuovi diritti che stanno emergendo adesso, in questi mesi di pandemia? «Il diritto a una corretta informazione, per esempio. Non entro nel merito del perché si stabiliscano continuamente regole nuove, ma è fondamentale che esse si capiscano. Io passo ore a rispondere alle persone che vanno in confusione».
Come avvocata ti batti perché ciascuna identità di genere sia riconosciuta e definita con le parole giuste. Eppure racconti di aver capito sulla tua pelle che le identità di genere sono gabbie culturali, ti definisci infatti «un corpo fluido che si muove tra il maschile e il femminile». «Le identità sono gabbie quando si spogliano del loro senso per diventare etichette. Quando invece noi viviamo la nostra identità in maniera naturale e non schiacciata da uno stereotipo, allora essa non è una gabbia ma un’affermazione di noi stessi. Sono cresciuta in un paese dove mi chiamavano “il maschiaccio” poiché ingabbiavano il mio modo di essere in uno schema binario. Mi sono dovuta riappropriare della femminilità e del fatto che la mia identità fosse riconosciuta in quanto fluida. Ecco perché lotto sia perché l’identità non diventi una gabbia sia perché ciascuno possa vivere liberamente la propria, senza discriminazioni».
A tal fine, è necessaria la codificazione di ogni singola variabile di identità di genere? Non varrebbe la pena di lottare affinché il genere non compaia più sulla carta di identità? «Ci sono Paesi, come la Svezia, in cui è stata abolita la divisione tra maschile e femminile. Ma la politica, in Italia, non è pronta. Possediamo dal 1982 una legge sul cambio di sesso che è tra le più evolute d’Europa. Ma fu approvata dal Parlamento a notte fonda, per evitare lo scandalo della materia. I cambiamenti possono avvenire solo a piccoli passi. Oggi per esempio ci battiamo perché non esistano 2 file elettorali, una per gli uomini, una per le donne. Sai quanti trans non vanno a votare per questo motivo?».
Pochi giorni fa il Parlamento ha approvato i primi 5 articoli di una legge contro l’omotransfobia, la misoginia e le discriminazioni. Cosa cambierà nel tuo lavoro di avvocata? «Lo faciliterà moltissimo. Un giudice, contro il colpevole di un pestaggio nei confronti di un gay, potrà emettere una sentenza ben più pesante che per semplici lesioni. Detto ciò, questa legge nasce antica. Oggi ne servirebbe una contro un sacco di illeciti che avvengono sulla rete: il bodyshaming, il bullismo. Mi sarebbe piaciuta una legge trasversale che punisse con più fermezza tutti i reati spinti dal fatto che si vuole mortificare qualcuno per una propria caratteristica personale, fossero anche i capelli rossi o le lentiggini».
Sembra più avanti della politica anche il Papa, che ha detto: «Gli omosessuali sono figli di Dio e hanno diritto a una famiglia. Nessuno dovrebbe essere estromesso o reso infelice per questo». «Le parole del Papa avranno un impatto forte su alcuni Paesi, come la Polonia e l’Ungheria, che usano il cattolicesimo per discriminare tutte le persone che incarnano una diversità. Francesco ha parlato anche di unioni civili, ma la parte più saliente del suo discorso è il diritto a non essere discriminati: noi, prima di essere coppie o famiglie, siamo individui. E abbiamo diritto a esistere come persone e a non essere discriminate in quanto tali».
Sei atea, eppure la domenica, a Bologna, può capitare di incontrarti a messa. «Troppo spesso la Chiesa e il mondo LGBTQ+ si sono misurati a partire da un pregiudizio reciproco. Io stessa ero immersa in quel pregiudizio, ritenevo che chiunque appartenesse al clero fosse un nemico, fino al giorno in cui ho incontrato l’arcivescovo Matteo Maria Zuppi, che oggi è il mio consigliere spirituale. Siamo vittime del pregiudizio finché ci neghiamo gli incontri che possono liberarcene. Ho scoperto che la Chiesa è piena di persone che si battono per migliorarla in nome di principi condivisibili».
Oggi i social network sono un grande strumento di mobilitazione. Ma quanto dell’attivismo in Rete è funzionale a costruire una certa immagine di noi? E quanto si trasforma in azione? «Il vero problema, oggi, è come pensiamo di spostarci dal virtuale al reale. Quello che dobbiamo fare è usare i social per esprimerci sulle battaglie che si possono fare, ma al tempo stesso non sentirci esonerati da ogni altra forma di impegno. Io faccio ancora volontariato, aiuto le persone anziane con problemi di deambulazione… Questi gesti quotidiani concreti ci rendono persone radicate nella realtà. Alda Merini diceva: “Vivi come le cose che dici”».
Alda Merini ti ha scritto anche un’altra cosa, come dedica su un libro: «Chi regala le ore agli altri vive in eterno». A chi regali dunque le tue ore? «A chi ha bisogno di sanare la ferita un’ingiustizia. Se riunissimo in una stanza le persone più ricche al mondo assieme alle più polvere, e chiedessimo “Chi ritiene di aver subito un’ingiustizia?”, tutti alzerebbero la mano. L’ingiustizia è ciò che tu percepisci come tale, non ciò che è ingiusto per la legge. La mia missione è far percepire che si può lottare contro qualsiasi ingiustizia. Non esistono cause perse, ma solo cause che devono ancora essere combattute».
Il libro di Cathy La Torre
In Nessuna causa è persa, il libro di Cathy La Torre appena pubblicato per Mondadori, la storia dei principali casi che l’avvocata ha portato in tribunale si intreccia con gli incontri fatti, gli aneddoti biografici, i cambiamenti sociali avvenuti in Italia negli ultimi 20 anni.
Foto di Davide Nova – styling di Bruno Dall’Arche
Hairstyle e make up Barbara Ciccognani