Il mal di testa solo in Italia colpisce oltre 26 milioni di persone. Ed è considerato dall’OMS fra le prime 10 cause al mondo di disabilità.
Quando assale un attacco di mal di testa c’è solo un desiderio: farlo passare il prima possibile. Comincia così la storia di chi si cura da sé fino a ritrovarsi a volte in una spirale senza fine di dolore che non si risolve e di dosi di analgesico sempre più elevate. E cade in un altro tipo di mal di testa che non ha nulla a che vedere con l’emicrania. Si chiama cefalea da eccesso di farmaci e colpisce circa due emicranici su dieci, quasi tutte donne. «Ormai è così diffusa da essere stata classificata come una malattia a sé», spiega Piero Barbanti, direttore dell’Unità per la cura e la ricerca su cefalee e dolore, Irccs San Raffaele Pisana di Roma. «Al momento non è ben chiaro il meccanismo. Si è visto però che l’uso eccessivo di farmaci “satura” il cervello e provoca un’ipereccitabilità delle vie del dolore. In pratica, l’antidolorifico non “spegne” più il male ma in un certo senso lo mantiene vivace».
Come si riconosce il mal di testa da eccesso di farmaci
A essere più a rischio sono le donne che soffrono di emicrania con almeno 2 attacchi alla settimana. «Il passaggio alla cefalea da abuso di farmaci è abbastanza rapido», interviene l’esperto. «Sono sufficienti infatti almeno 15 analgesici al mese per tre mesi di seguito». I benefici del medicinale man mano durano sempre meno. Così, c’è chi arriva ad assumere anche due-tre antidolorifici in una giornata e a modificare dose e classe di principi attivi. Più o meno in due casi su tre, poi, si passa alle formulazioni composte, cioè analgesico e altre sostanze quali oppioidi, caffeina, barbiturici. «Questa forma di cefalea ha anche delle caratteristiche ben precise», dice il professor Barbanti. «Il mal di testa non ha più niente a che vedere con l’emicrania. Da pulsante, intenso e localizzato a solo un lato della testa, si trasforma in un dolore diffuso, presente pressoché sempre».
Come si cura
La cura è una sola: sospendere i farmaci analgesici. Ma è vietato il fai da te. Bisogna rivolgersi invece a un centro specializzato per la cura delle cefalee. «La riduzione dei medicinali è graduale per evitare il rischio di attacchi convulsivi», chiarisce l’esperto. «In parallelo, al paziente viene prescritta una cura cortisonica per contrastare lo stato di infiammazione e una cura preventiva per trattare l’emicrania sottostante. Di solito, in circa 15 giorni la disassuefazione è completa. Una volta risolta la cefalea da abuso di farmaci, però, riemergono le crisi di emicrania, che vanno curate coi farmaci giusti. Altrimenti, il pericolo che la paziente ricaschi nell’abuso è molto alto».
Il rischio di ricadere nell’abuso di farmaci
Attenzione, però. Alcuni studi rivelano che un quarto o addirittura la metà di chi si disintossica dai farmaci analgesici, prima o poi ci ricasca. «Succede quando il paziente non viene educato sulle ragioni del proprio mal di testa e sulla necessità di una gestione attenta e non impulsiva del problema, e non sia stata instaurata una idonea prevenzione del mal di testa ed un opportuno trattamento degli eventuali problemi psicologici», interviene l’esperto. «Invece è necessario impostare una corretta terapia, sia preventiva, sia curativa. Ricordiamoci infatti che una volta risolta la cefalea da abuso di farmaci, bisogna affrontare l’emicrania». Dopo la disintossicazione dunque bisogna ripartire letteralmente da zero e rivedere drasticamente lo stile di vita, correggere i fattori di rischio, trattare i concomitanti disturbi d’ansia e depressivi, quando presenti , e impostare una nuova cura farmacologica contro l’emicrania.
Individuare i fattori di rischio
Sono decisamente numerosi i fattori che possono scatenare le crisi di emicrania. Conoscerli è importante, perché in questo modo è possibile prevenire molti attacchi e non ricadere più nell’abuso di farmaci.
Il primo fattore scatenante è lo stress in otto casi su dieci. Paradossalmente anche il relax durante il week-end dopo un’intensa settimana lavorativa può essere scatenante. In questi casi vale la regola di non accumulare tensioni quando si lavora e di cercare di non concentrare il sabato e la domenica tutti gli impegni anche piacevoli che non si riescono a svolgere durante la settimana.
Il secondo fattore scatenante, nella donna, è rappresentato dalle variazioni ormonali in oltre sei casi su dieci. E il terzo, strano a dirsi, è il digiuno in quasi sei casi su dieci. Ciò dipende dal fatto che il cervello emicranico, dotato di particolare eccitabilità, ha un difetto dei meccanismi di produzione di energia all’interno dei mitocondri e deve pertanto essere sempre regolarmente alimentato da fonti energetiche, vale a dire da pasti regolari.
L’emicrania può poi essere scatenata anche da alcuni particolari alimenti che contengono nitrati, glutammato e tiramina: i principali imputati sono i formaggi stagionati, gli insaccati, carni stagionate o affumicate, alcune qualità di dadi per brodo e la frutta secca.
Ma soprattutto le bevande alcoliche possono dar luogo ad attacchi di emicrania nel 38 percento dei casi. Secondo alcuni fra l’altro sarebbe più a rischio di crisi il vino bianco a causa dei contenuti.
Un ruolo importante è svolto anche dalle variazioni climatiche (53%), in particolare dai bruschi cambiamenti di temperatura e di umidità. Infine possono provocare l’emicrania anche il rumore eccessivo, gli odori pungenti, il monossido di carbonio, il fumo di sigaretta, uno sforzo fisico esagerato, oppure un accumulo di stanchezza come alla fine di un lungo viaggio.
Farmaci, ma con giudizio
Se le crisi di emicrania sono al massimo tre, quattro al mese, va bene utilizzare i farmaci solo al bisogno: tra questi possono risultare utili il paracetamolo o i farmaci antinfiammatori non steroidei (nelle forme più lievi) o farmaci più specifici quali i triptani. Se però gli attacchi disabilitanti sono almeno quattro al mese è corretto introdurre anche sotto controllo medico, una cura preventiva finalizzata a ridurre il numero di attacchi mensili, migliorare la qualità di vita del paziente e anche ridurre il rischio di sviluppare nuovamente una cefalea da iperuso di analgesici.