Diagnosticare la celiachia senza la biopsia intestinale è possibile. È sufficiente ricorrere agli esami del sangue specifici. In particolare, a «un’analisi sierologica che evidenzi la presenza di valori molto elevati di anticorpi specifici per la celiachia, ovvero gli anticorpi antitransglutaminasi, e la conferma della positività, sempre nel sangue, degli anticorpi antiendomisio» come spiegato da Riccardo Troncone, professore di Pediatria all’Università Federico II di Napoli e Presidente della Società internazionale per lo studio della celiachia, al termine del Congresso della Società Italiana di Pediatria, che si è appena concluso.
Proprio al Congresso sono state illustrate le linee guida europee, prodotte di recente dalla Società europea di gastroenterologia pediatrica (ESPGHAN). A differenza di quanto accade negli Stati Uniti, prevedono che si possa evitare – ove possibile – il ricorso all’endoscopia nei soggetti più piccoli, perché può risultare più invasivo e fastidioso. «Gli esami sierologici in alternativa alla biopsia intestinale sono stati introdotti per la prima volta in Europa e in Italia nel 2012 dalla stessa ESPGHAN. Negli Stati Uniti, invece, si ricorre ancora e solo alla duodenoscopia, per verificare se ci siano alterazioni» chiarisce Marco Silano, Direttore dell’Unità operativa di Alimentazione, Nutrizione e Salute dell’Istituto Superiore di Sanità e coordinatore del board scientifico dell’Associazione italiana celiachia.
I vantaggi
La novità più rilevante, ora, è che viene allargata la platea dei soggetti per i quali si può diagnosticare la celiachia senza biopsia, anche se asintomatici, consentendo un iter semplificato: «Il vero vantaggio, specie oggi, è la riduzione dei tempi per la diagnosi – spiega Silano – Per un’endoscopia ci sono liste d’ attesa anche piuttosto lunghe, specie con la pandemia. Basti pensare che l’Oms nei mesi scorsi aveva raccomandato di non eseguire questi accertamenti se non per motivi urgenti. Senz’altro sono esami che rallentano la diagnosi, quindi il fatto di poterlo evitare è un vantaggio».
I requisiti
Esistono, però, alcuni requisiti perché si possa saltare la duodenoscopia: «Per prima cosa la fascia d’età, che non deve superare i 7 anni; occorre poi avere valori di anticorpi antitransglutaminasi superiori di 10 volte alla norma, oltre al fatto che occorre presentare alcuni sintomi riconducibili alla celiachia, sia specifici che non specifici, come quelli che si sono diffusi maggiormente tra gli adulti negli ultimi tempi» spiega l’esperto dell’ISS.
I sintomi specifici e quelli “nuovi”
«In età pediatrica, se sussistono le prime due condizioni, vanno indagati alcuni segnali della possibile presenza della malattia celiaca. Alcuni sono tipici, come la diarrea, lo scarso accrescimento, il meteorismo intestinale, che sono appunto più tipici dei bambini celiaci. Possono, però, essercene altri, che oggi riscontriamo con maggiore frequenza negli adulti» spiega Silano. Molti sono di tipo dermatologico, come la dermatite erpetiforme o morbo di Duhring, nota anche come “celiachia cutanea” «Anche psoriasi e alopecia possono essere campanelli d’allarme, insieme a sintomi neurologici o del cavo orale (afte ricorrenti, perdita dello smalto dei denti, carie), malattie autoimmuni (come diabete di tipo 1 o tiroidite) o problemi ginecologici nelle femmine, insieme ad anemia» chiarisce l’esperto.
Che esami fare, quindi?
Ad oggi sono circa 225mila i celiaci diagnosticati, dei quali 52mila sono bambini dai 6 mesi o ragazzi fino ai 17 anni, ma si ritiene che molti non sappiano di avere la malattia, per mancanza di diagnosi. Il fatto di poter ricorrere ad analisi più rapide, accessibili (specie ora con la limitazione degli screening causa Covid) e meno invasive può aiutare a individuare soggetti celiaci, specie se privi di sintomi tipici. «Ad oggi il 60% dei bambini fa ancora l’endoscopia, anche se in condizioni migliori rispetto al passato. Intanto non si ricorre più a una vera e propria anestesia, ma a una sedazione blanda, con un farmaco assunto per via orale tramite gocce, che permette di rimanere svegli, ma perdendo coscienza, tanto che alla fine della biopsia, che dura circa 10 minuti, il bambino non ricorda nulla» chiarisce Silano. «Anche la strumentazione è differente: l’esame si fa in sala endoscopica e non operatoria, e può entrare anche un genitore. Gli endoscopi sono estremamente flessibili e piccoli, mentre in passato erano più rigidi» aggiunge l’esperto dell’AIC.
Nessun rischio di “falsi positivi”
A dispetto della facilità del tipo di esame, è difficile che i prelievi del sangue portino a diagnosi errate: «La diagnosi va comunque certificata presso un presidio di rete o un centro di riferimento, cioè strutture riconosciute dai sistemi sanitari regionali e altamente specializzate nella celiachia. Quindi la certificazione di celiachia è eseguita da personale esperto – spiega Silano – A ciò si aggiunga che c’è sempre un follow up: il bambino viene seguito anche dopo la diagnosi e dopo che ha iniziato a togliere il glutine dalla propria dieta». Il rischio di non assumere più il glutine, se non c’è un motivo valido come nel caso della celiachia, è di costringere il bambino a una dieta restrittiva e a volte difficile da accettare, ma indispensabile in caso di malattia. «Se dopo sei mesi dall’eliminazione dei cibi con glutine i sintomi non scompaiono, rimangono segnali e soprattutto gli anticorpi antitransglutaminasi, allora significa che il motivo è un altro e si indaga ulteriormente» conclude Marco Silano.