Aumenta l’accuratezza della diagnosi di celiachia, come la gamma di prodotti adatti a chi è intollerante al glutine, ma sul fattore scatenante della malattia non ci sono ancora certezze. Uno studio pubblicato qualche tempo fa sulla rivista Science, condotto da ricercatori americani della University of Chicago Genomics Facility, indicava come possibile causa un virus, in grado di scatenare una risposta immunitaria alla base della celiachia. In questo caso, si potrebbe ipotizzare la creazione di un vaccino in grado di evitare l’insorgere della malattia nei soggetti geneticamente predisposti. Ma quanto c’è di vero? A che punto è la ricerca?
Colpa di un virus?
“Il grosso problema della celiachia è che è una malattia multifattoriale: noi al momento sappiamo che influiscono la genetica e la presenza di glutine nella dieta” spiega a Donna Moderna Marco Silano, Direttore della UO di Alimentazione, Nutrizione e Salute dell’Istituto Superiore di Sanità e Coordinatore del Board scientifico dell’Associazione italiana celiachia (AIC).
“Gli studi condotti finora ci dicono che solo una percentuale variabile di chi ha una predisposizione genetica alla celiachia (i soggetti cosiddetti DQ2 e DQ8) sviluppa la malattia, in media nel 3% dei casi, anche se si può arrivare al 20%” – spiega l’esperto – “In queste persone a un certo punto succede qualcosa che avvia l’intolleranza, ma su quale sia la causa non abbiamo evidenze scientifiche definitive e certe”.
Lo studio americano
I ricercatori americani, che hanno condotto uno studio su topi, sono arrivati a concludere che alcuni virus asintomatici e in genere non dannosi, i reovirus, possano essere i responsabili del processo di infiammazione che porta alla malattia celiaca. La ricerca ha anche mostrato come i soggetti celiaci hanno in media una presenza maggiore di anticorpi contro i reovirus rispetto a quella della popolazione sana. Questo porterebbe a pensare che coloro che hanno la celiachia abbiano potuto sviluppare una reazione del sistema immunitario in un momento precedente della vita e tale da lasciare un segno, destinato a emergere successivamente sotto forma di malattia celiaca.
“Si sospetta che le infezioni virali, in particolare intestinali, contratte in un determinato momento dello sviluppo (durante l’infanzia), possano scatenare l’infiammazione, dando origine in seguito a una celiachia clinica, evidente” – dice Silano – “Questo studio conferma, dunque, che potrebbero essere un agente scatenante, ma da quando è stata formulata questa ipotesi non sono emerse ulteriori conferme, per una serie di problemi”.
I limiti della ricerca
“Il primo limite è dato dal fatto che non esiste un modello animale di celiachia. Quando studiamo la mucosa intestinale di un soggetto celiaco è come se volessimo analizzare il crollo di un edificio, senza avere il video dei primi momenti. È già tardi, l’infiammazione è già conclamata e non è possibile risalire con certezza ai primi istanti del meccanismo infiammatorio” spiega l’esperto di celiachia. “È anche importante ricordare che al momento una priorità più impellente, in un’ottica di sanità pubblica, è fare una corretta diagnosi su tutti i soggetti con intolleranza al glutine, che ancora non sanno di averla. In Italia si tratta di circa 3 celiaci su 5, pari allo 0,65% della popolazione generale. Queste persone mangiano il glutine, ma stanno male e questo si ripercuote sulla loro vita scolastica e lavorativa, oltre che sul Servizio sanitario nazionale, che offre loro cure inadeguate, che non hanno effetto, perché c’è una misdiagnosi, una diagnosi non corretta” aggiunge il medico.
“Una volta risolto questo aspetto, ci si potrà concentrare anche sulle cause scatenanti, magari arrivando a prevenire la malattia nei soggetti predisposti”.
In futuro ci potrà essere un vaccino?
Mettere a punto un vaccino apposito contro la celiachia sembra essere l’obiettivo dei ricercatori americani, ma perché questo avvenga è ancora troppo presto. “Sembra che non siano solo i reovirus a scatenare la celiachia, ma anche altri come i rotavirus. Inoltre al momento non esistono ancora vaccini per quel tipo di virus” spiega Marco Silano.
Colpa del grano modificato?
Un’ altra ipotesi, avanzata qualche tempo fa e ciclicamente riproposta, è che la causa della celiachia possa essere il grano geneticamente modificato, in particolare il tipo nano, la cui altezza è stata abbassata nel tempo per permettere di ottimizzare il raccolto rispetto alla variante ad alto fusto. “Il grano è un alimento naturalmente modificato a livello genetico: da quando è stato “addomesticato”, è andato incontro a processi di rimodulazione della propria spiga, i cui chicchi hanno ibridato le specie” – spiega Silano – “Non c’è alcuna evidenza scientifica che il grano presunto OGM (che non è mai stato e non è in commercio) sia responsabile della diffusione della celiachia“.
“D’altro canto è vero che le prime indicazioni di malattie dovute all’intolleranza al glutine risalgono a un uomo che visse in Cappadocia nel 60 d.C., quando le modifiche genetiche non esistevano” conclude l’esperto.
I celiaci stanno aumentando?
“I test di screening sulla popolazione generale riportano che è affetto da celiachia 1 soggetto su 100. In Italia è diagnosticata in poco più più del 30% degli affetti. L’aumento delle diagnosi non corrisponde a un maggior numero di casi, ma a una sempre maggiore accuratezza nelle diagnosi” dice Silano.
Di certo la celiachia oggi è una malattia più conosciuta anche dai non addetti ai lavori, e maggiori sono i prodotti in commercio per chi deve seguire una dieta priva di glutine. Ma se si è predisposti geneticamente, è consigliabile mangiare alimenti gluten free? “Assolutamente no. I soggetti DQ2 e DQ8 si devono alimentare esattamente come quelli non geneticamente predisposti, salvo fare controlli sui livelli di anticorpi specifici ogni due anni o in caso di comparsa di sintomi” spiega l’esperto dell’AIC.
Dieta senza glutine: quando seguirla e quando no
“Togliere il glutine nei soggetti non celiaci non serve a nulla, nonostante quanto invece sostengono vip come Gwyneth Paltrow, che dice di essere diventata più bella da quando non ne mangia più, o il tennista Novak Djokovic: nel suo libro Servizio Vincente invita persino a mangiare gluten free per migliorare la performance sportiva. Ma non è affatto vero. Se da un punto di vista nutrizionale il glutine non ha un alto valore, è pur vero che ogni la dieta di eliminazione può comportare squilibri a lungo termine. Un celiaco la deve seguire per evitare conseguenze proprio a lungo termine, che possono arrivare anche a problemi alla tiroide o al fegato come ipertransaminasemia o colangite autoimmune (a carico del fegato), o anche più gravi”.