Si chiamano “certificati di verginità” e vengono generalmente richiesti dai genitori dello sposo, o dagli stessi futuri mariti delle ragazze che vivono in famiglie integraliste, islamiche ma non solo. Sono una pratica mortificante e sessista, che ora il governo francese vorrebbe abolire con una nuova legge, rendendo penalmente responsabili i dottori che si prestano a rilasciare i certificati. L’altra motivazione è che, eliminandoli, si combatte il “separatismo” e l’auto ghettizzazione di alcune delicate fasce sociali, che mettono a rischio ragazze e giovani donne che si trovano in condizioni di vulnerabilità.
Ma non tutti sono d’accordo: sul quotidiano francese Libération, infatti, un collettivo di operatori sociali, medici e intellettuali ha firmato un appello intitolato “La criminalizzazione dei certificati di verginità non aiuta la causa delle donne”, dove sostengono che abolirli non otterrebbe altro risultato se non il ricorso alla clandestinità, isolando ancora di più le ragazze in difficoltà. Ecco perché è scoppiata la polemica.
Che cosa sono e chi richiede i certificati di verginità
Come riporta La Repubblica, i certificati di verginità vengono rilasciati dopo un controllo dell’integrità dell’imene e vengono di solito richiesti dai giovani che stanno per sposarsi, dai genitori e dai futuri mariti. Non sono diffusissimi, ma esistono, soprattutto nelle famiglie integraliste. Si tratta di un fenomeno minoritario, ma che il governo francese vorrebbe eliminare per favorire l’integrazione ed evitare che le comunità religiose si chiudano ancora di più nei confronti del resto della società. La scorsa settimana, il ministro dell’Interno Gérard Darmanin e la sottosegretaria alla cittadinanza Marlène Schiappa avevano annunciato la nuova misura, avvalendosi di una decisione dell’Ordine dei Medici. «Siamo decisamente contrari ai test di verginità», scrivono i firmatari dell’appello di Libération, «È una pratica barbara, retrograda e assolutamente sessista. In un mondo ideale, tali certificati dovrebbero naturalmente essere rifiutati». Ma il mondo reale è un altro, avvertono.
Perché c’è chi ritiene che abolirli potrebbe mettere in pericolo le donne
Tra i firmatari dell’appello che invita il governo a riconsiderare la proposta di legge, ci sono anche il direttore del reparto Ostetricia e ginecologia dell’ospedale parigino Bicêtre, la presidente del collettivo femminista Cfcv Emmanuelle Piet e il presidente di Gynécologie Sans Frontières (Gsf) Claude Rosenthal. «Ci capita di dover fornire questo certificato a una giovane donna per salvarle la vita, per proteggerla perché è indebolita, vulnerabile o minacciata», si legge nel manifesto. Criminalizzare la pratica, per quanto giusto in linea teorica, significa esporre queste donne ancora di più alla violenza maschile che le circonda, costringendole al ricorso alla clandestinità o addirittura a viaggiare all’estero.
Secondo i firmatari, paradossalmente quella del certificato è un’occasione per aiutare le ragazze «prendere coscienza e a liberarsi dal dominio maschile o familiare», stabilendo un primo contatto che potrebbe iniziarle a un nuovo percorso di vita, qualora lo desiderassero. La soluzione non è perciò la penalizzazione, ma piuttosto l’investimento nell’educazione: è il solo modo per aiutare quelle giovani donne a lasciarsi alle spalle la condizione in cui si trovano.