Sono bastati pochi giorni a scuola per aprire un nuovo fronte di polemica e soprattutto di confusione. Dopo i banchi e le mascherine ora tocca ai certificati medici richiesti al ritorno in classe dopo qualche giorno di assenza. Quando sono obbligatori? Chi li deve fare? In che casi? Le linee guida del ministero dell’Istruzione, sulla base delle indicazioni del Comitato Tecnico Scientifico, intervengono sui protocolli in caso di Covid, ma come ci si regola per assenze dovute ad altri motivi oppure nel caso di sintomi legati, per esempio, ad allergie che possono sembrare simili a quelli di un contagio da coronavirus?

Certificati medici sì o no?

Le
disposizioni ministeriali stabiliscono che gli alunni delle scuole dell’infanzia
e i bambini che frequentano i nidi devono avere una certificazione del pediatra
o del medico di famiglia per poter essere riammessi dopo tre giorni o più di
assenza
. Non così chiara, invece, è la prassi per gli studenti delle medie
e delle superiori, come sottolinea il presidente dell’Associazione dei Presidi,
Antonello Giannelli, che ha chiesto un intervento da parte delle autorità. Nel
frattempo ci si deve attenere alle differenti disposizioni regionali (e,
a volte, dei singoli istituti). Per esempio, in Veneto, Liguria e Piemonte è
sufficiente un’autocertificazione dei genitori
, previa consultazione del
pediatra, che attesta la negatività del figlio al tampone dopo allontanamento
per sospetto Covid. «Da noi in Veneto, così come in molte altre regioni d’Italia, il
certificato medico di riammissione è stato abolito da molti anni. Nei mesi
scorsi, in piena emergenza sanitaria, si era valutata l’opportunità di reintrodurlo
anche a livello nazionale, ma così non è stato» spiega Giacomo Toffol, presidente dell’Associazione
culturale pediatri.

Intanto,
in altre regioni come Lombardia, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia,
Trentino Alto Adige, Umbria e Marche
si fa riferimento al Patto di
corresponsabilità
, che si fonda su un rapporto di reciproca fiducia tra scuola
e famiglie. In Sicilia, invece, c’è l’obbligo di certificato medico dopo
10 giorni di assenza, mentre in altre regioni è previsto dopo 5 giorni: è il
caso del Lazio dove però i presidi hanno protestato.

Chi fa il certificato: Asl o pediatra?

Ma a chi tocca scrivere il certificato, al pediatra o alla Asl presso la quale alunni e studenti si sono sottoposti, se necessario, a tampone? «L’attestazione viene rilasciata dal pediatra dopo aver seguito quanto previsto dal protocollo» spiega Toffol. Quando un bambino o ragazzo è allontanato da scuola per sospetto contagio, i genitori chiamano il pediatra che effettua un triage telefonico per cercare di capire se si tratti di una eventuale infezione da virus Sars-Cov2. Se lo ritiene opportuno, fa richiesta di tampone e, se negativo, rilascia un’attestazione in cui dichiara di aver seguito la procedura prevista e di aver ricevuto un esito negativo del tampone.

Differenza tra attestazione e certificato medico

A differenza dell’attestazione, in cui ci si limita ad attestare la corretta procedura e la negatività al Covid, il certificato medico è redatto da pediatra solo in seguito a una visita: «L’attestazione per negatività al Covid non è un certificato di salute, che presuppone una visita in presenza come invece può avvenire nel caso di un’influenza o un’altra malattia virale» conferma il pediatra.

Serve il certificato dopo la quarantena?

«Anche in questo caso occorre seguire le disposizioni regionali, ma teoricamente spetta alla Asl o all’Ufficio di Igiene competente monitorare la situazione di un malato Covid, che sia bambino o adulto, con almeno un contatto telefonico quotidiano durante la quarantena. Spesso lo facciamo anche noi pediatri, ma spetta alla Asl. Al termine della quarantena, dopo secondo tampone negativo, la procedura è identica, con un’attestazione per la riammissione a scuola» spiega Toffol.

I certificati per rinite allergica

Ma cosa succede se, per esempio, un bambino soffre di sinusite o rinite allergica o altre patologie che possono portare a sintomi simili a quelli di Covid? Ha bisogno di un certificato del proprio pediatra che attesti che non sono dovuti al virus Sars-Cov2? «Purtroppo questo è un aspetto problematico. Nel caso della rinite allergica, ad esempio, è confondibile con quella acuta quindi non è possibile rilasciare un certificato a inizio anno che attribuisca quei sintomi solo alla forma allergica, perché non si può escludere che il bambino venga in contatto anche con altre patologie analoghe per sintomi come lo stesso Covid» spiega il pediatra.

Perché i pediatri dicono «no» al certificato

La Federazione italiana Medici Pediatri ha preso posizione contro l’obbligatorietà dei certificati, laddove richiesti, perché «offrirebbero una falsa sicurezza sulle condizioni di contagiosità degli alunni». «Il tampone negativo e la successiva attestazione conferma solo che il bambino in quel momento non è contagiato, ma potrebbe diventarlo anche poco dopo se venisse in contatto col virus, anche solo lungo il tragitto da casa a scuola» dice Toffol. L’invito è piuttosto a sottoporre a tampone i bambini e ragazzi ogniqualvolta ci sia un sospetto contagio, puntando soprattutto a velocizzare i test. «Purtroppo i test rapidi di tipo antigenico, che in alcuni casi si stanno eseguendo, non hanno ancora ricevuto il via libera dal Miur perché non hanno la stessa affidabilità dei tamponi naso-faringei di tipo molecolare. Quando avremo dei test salivali attendibili saranno sicuramente un valido aiuto nella fase di screening» spiega Giacomo Toffol.

Influenza o Covid: serve il tampone ogni volta?

«Purtroppo di fatto sì, perché i sintomi sono molto simili. Gli unici che sembrano più tipici dell’infezione da coronavirus sono la perdita di olfatto e gusto, ma nei bambini facile non è sempre facile capirlo. Io, per esempio, sto coordinando uno studio osservazionale con alcuni colleghi per identificare proprio quali sintomi Covid siano più forti e tipici rispetto ad altre infezioni, ma i risultati non arriveranno a brevissimo» conclude l’esperto.