Sappiamo leggere gli stati d’animo altrui, ma non le cartine geografiche. Abbiamo intuito, eppure andiamo in crisi con la matematica. Davvero noi donne siamo fatte così? «No, ma è quello che il mondo scientifico ci ha sempre spinto a pensare» risponde Gina Rippon, eminenza delle neuroscienze alla Aston University di Birmingham, in Inghilterra.
«È vero che il cervello femminile e quello maschile sono diversi, ma le differenze dettate dal sesso alla nascita sono molto più sottili di quanto si pensi. E soprattutto, non influiscono sulle attitudini di una persona, come invece è stato suggerito spesso».
Facciamo un esempio?
«Negli anni ’80 alcuni studi hanno scoperto che una parte del corpo cal- loso femminile è leggermente più ampia rispetto a quella maschile. Parliamo di un ponte di fibre nervose che unisce l’emisfero destro, sede delle emozioni e del pensiero globale, a quello sinistro, deputato al linguaggio e alla logica. Partendo da queste considerazioni, alcuni ricercatori hanno male interpretato il risultato iniziale».
Cioè?
«Hanno sostenuto che grazie a quel collegamento più esteso, le donne sono più brave a cogliere le sfumature di una conversazione. Allo stesso tempo, gli uomini sono più efficaci nell’isolarsi dalle interferenze emotive e così si concentrano meglio».
Sono falsità?
«Di sicuro non sono certezze scientifiche. Primo, perché le ricerche di partenza erano state fatte su campioni molto ridotti, con scarsa rilevanza statistica. Secondo: nessuno ha mai dimostrato che quella piccolissima differenza nella struttura cerebrale tra i due sessi producesse comportamenti diversi. Una superficialità che è stata usata anche in altre ricerche. Nel frattempo, però, il danno era stato fatto».
Che cosa intende?
«Secondo questa visione deterministica, il sesso alla nascita plasma in modo irrevocabile il cervello e di conseguenza anche il genere, cioè quell’insieme di caratteristiche con un forte connotato sociale. Così sono nati molti neuro-stereotipi noti a tutti. L’uomo leader e la donna follower. Oppure lui scienziato e lei maestra. Il problema è che questi cliché sono così potenti da influenzare lo sviluppo nervoso, in un circolo vizioso che si autoalimenta».
In che modo?
«Facciamo un esempio. In base alla classica dicotomia blu-rosa, un genitore spingerà il figlio maschio a giocare con le costruzioni e la femmina con le bambole. Ma questa scelta all’apparenza innocua plasma il cervello, che è un organo plastico: risponde ai messaggi che gli arrivano dall’esterno, finendo per rispecchiare lo stereotipo in cui è immerso. Proprio grazie alla pratica con i lego, è probabile che il piccolo sviluppi delle ramificazioni nervose che lo rendono più abile della sorella a comprendere le rappresentazioni tridimensionali. Ma attenzione: questo non significa, come si è sempre pensato, che gli uomini per natura siano più portati all’ingegneria. Semplicemente hanno beneficiato di esperienze diverse».
Dunque è la società basata sul binario maschio-femmina a favorire lo sviluppo del gap cerebrale?
«Esatto. Ma in realtà ogni cervello è unico al mondo e diverso da tutti gli altri. Questo ha ben poco a che vedere con il sesso, e molto di più con le esperienze, la cultura e l’impronta genetica: queste sì fanno la differenza».
Però sempre più donne si avvicinano alle materie Stem.
«Certo, ma sempre a causa dei neuro-stereotipi, fanno molta più fatica degli uomini a raggiungere gli obiettivi prefissati. Anche perché il cervello è socievole per natura».
Che cosa significa?
«Vuol dire che tende a seguire le regole scritte dal contesto in cui si vive. Per andare controcorrente, ha bisogno di una forte autostima. E sa qual è il problema? Secondo uno studio mondiale, ovunque le donne ce l’hanno più bassa degli uomini».
La femmina vittima delle sue stesse emozioni è un altro neuro-stereotipo?
«Certamente. Per anni si è posto l’accento sugli effetti negativi della sindrome premestruale: la cosiddetta tempesta ormonale di cui le donne erano vittime era un buon motivo per escluderle da posizioni di potere o da professioni considerate delicate, come i programmi spaziali. Ma le ricerche recenti hanno messo in luce un aspetto nuovo: nella fase dell’ovulazione e in quella subito successiva, la performance cognitiva e affettiva migliora, a dimostrazione del fatto che gli ormoni hanno un’influenza positiva superiore agli effetti collaterali».
Possiamo accusare la scienza di sessismo?
«Purtroppo sì. Il problema è che tra la fine del 19esimo e l’inizio del 20esimo secolo si pensava che una differenza tra il cervello maschile e quello femminile esistesse per forza, bisognava solo trovarla. L’eco di quella convinzione si sente ancora oggi».
Come se ne esce?
«Bisognerebbe guardare alle ricerche con occhio critico. E come genitori, remare contro certi cliché, tenendo sempre alta la guardia. Mai lasciarsi scappare frasi come: “La matematica è roba da maschi”!».
Il libro da leggere
Più che un saggio, è stato definito un manifesto femminista di stampo scientifico. S’intitola The Gendered Brain: The new neuroscience that shatters the myth of the female brain ed è firmato da Gina Rippon, neuroscienziata cognitiva della Aston University di Birmingham in prima linea contro la carenza di donne nelle discipline Stem. Una ricerca dopo l’altra, demolisce il mito del cervello femminile opposto a quello maschile. Solo quando ci libereremo da questo neurostereotipo, saremo in grado di esprimere tutto il potenziale racchiuso nella nostra mente.