Sono quasi sessanta i conflitti in corso nel mondo. Alcuni, pochi, riescono a risalire le prime pagine dei quotidiani, ma nella maggior parte dei casi dopo il frastuono generale, le notizie si riducono a un trafiletto scarso. Nel nostro tran tran quotidiano, guerra, emergenza climatica e disastri ambientali ci sembrano spesso qualcosa di lontano, una nube passeggera. Ma anche quando non pensiamo che in Palestina, in Ucraina e in moltissime altre aree del mondo ci sono persone che continuano a morire, c’è chi non smette di farlo. Come Cesvi – organizzazione umanitaria fondata a Bergamo nel 1985 – che proprio quest’anno compie 40 anni. Li celebra con un libro, 40 I nostri anni di solidarietà (Guerini e Associati), scritto da uno dei fondatori Maurizio Carrara, e presentato a Milano insieme alla presidente della Fondazione, Gloria Zavatta, Stefano Arduini, Direttore di Vita Magazine e Vita.it, e a due ambasciatori storici: gli attori Lella Costa e Alessio Boni.

Un libro per celebrare i 40 di solidarietà di Cesvi

Presentato il 4 febbraio, alla libreria Mondadori di Piazza Duomo a Milano, il libro ripercorre i 40 anni di attività della ONG Cooperazione Emergenza Sviluppo. Dalla missione in Corea del Nord ai tempi della grave carestia che colpì il paese negli anni ’90, alla lotta all’AIDS in Africa, passando per l’impegno durante la pandemia da Covid-19 e a quello attuale in Ucraina e a Gaza. L’idea di fondare una ONG, organizzazione non governativa, quando ancora non se parlava molto, venne da un viaggio in Nicaragua, racconta Maurizio Carrara:

«Lì conobbi medici e agronomi che lavoravano per il Movimento laici America Latina. Al ritorno con alcuni amici organizzammo una piccola raccolta fondi per loro e fu notevole per l’epoca. Così dopo un paio d’anni abbiamo pensato di creare anche noi una ONG a Bergamo».

Riassumere quarant’anni non è facile, ma il fondatore di Cesvi riesce a farlo in modo efficace. «Mentre il mondo si scorna su chi ha ragione, noi andiamo a vedere chi ha bisogno. Noi siamo a Gaza non perché siamo pro Hamas o contro Israele, siamo lì perché c’è un bisogno micidiale di stare lì. Tutte le organizzazione benefiche fanno del bene. Il problema è riuscire a farlo bene quel bene» – racconta. E la chiave del successo dell’organizzazione è tutta qui: nella concretezza d’azione e nella consapevolezza che ai soldi bisogna aggiungere le idee per riuscire a garantire aiuto dove c’è emergenza e sviluppo e progresso successivamente.

Gli ambasciatori di Cesvi

“Fare bene il bene” è il motto di Cesvi, che dal 1985 è diventato anche quello degli ambasciatori che hanno dato voce e volto alle campagne dell’organizzazione. Tra questi anche gli attori Lella Costa e Alessio Boni, che in occasione della presentazione di 40 I nostri anni di solidarietà hanno ripercorso la loro relazione con la Fondazione. «Io fui colpita fin dall’inizio dalla concretezza e la laicità di Cesvi» racconta l’attrice. Tra i suoi ricordi più belli a fianco dell’ONG c’è la nascita di Takunda: il primo bambino nato non sieropositivo da una madre sieropositiva. Erano i primi anni 2000 e fu una rivoluzione per lo ZImbabwe, piegato dal giogo dell’AIDS.

Al racconto di Lella Costa, fa eco quello di Alessio Boni che con Cesvi ha viaggiato molto: recentemente è stato in Uganda, in Africa, e poco dopo lo scoppio della guerra nel 2022, in Ucraina. «Quello che apprezzo di più di questa realtà è che collaborano con chiunque. Con le istituzioni, con le associazioni religiose. Che tu sia cristiano, buddista, induista non importa. Ciò che conta è che tu dia una mano. E se le scuole si costruiscono, gli aranceti crescono e c’è il commercio significa che funziona».

Dopo 40 anni Cesvi guarda al futuro

E dopo quarant’anni di attività e presenza in oltre 30 paesi nel mondo, tra cui Afghanistan, Turchia, Siria, Iran e Iraq? L’autore di 40 I nostri anni di solidarietà, Maurizio Carrara, ha le idee molto chiare:

«Parlo di noi ONG: in Italia ci sono molte associazioni medie e piccole che da sole fanno benissimo il loro lavoro. Quello che mi piacerebbe per il futuro è metterne insieme cinque o sei e creare una grande organizzazione della solidarietà italiana nel mondo. Perché in questo modo noi potremmo confrontarci con gli scenari internazionali drammatici che stanno venendo alla luce».