La piccola strada scivolava di fianco al fiume, in mezzo ai boschi, nel silenzio rotto solo dalle nostre fantasie sommesse. Talvolta arrivava a sfiorare la grande strada, quella delle auto, che sentivi rombare e fendere l’aria pochi metri più in là. Eppure noi, come esseri minuscoli, ci muovevamo invisibili agli ignari guidatori dentro un mondo verde, di tanti infiniti verdi diversi. La mia prima esperienza di una ciclovia è stata più o meno così. Penso di poter sorvolare sul mal di sedere e l’equipaggiamento non idoneo, perché non hanno rubato nulla alla poesia e alla meraviglia di quei quattro giorni. I primi in cui abbiamo lasciato Milano dopo il lockdown.
Per superare le crisi, anzi per non “sprecarle” come suggerisce Papa Francesco, ci vogliono atti di immaginazione. Chiara Montanari, una esploratrice antartica che ha guidato molte spedizioni nel luogo più estremo della Terra, mi ha spiegato come si compiono consapevolmente questi atti di immaginazione: «Quando sei sul plateau antartico e ti trovi di fronte a un crepaccio, si tratta di non calcolare quanto è profondo, di non guardarsi indietro per capire quale strada avresti dovuto fare, dove hai sbagliato, ma di conservare tutte le energie che hai per andare avanti. È un problema di focalizzazione dell’attenzione e di utilizzo dell’energia».
Il viaggio in bici è stato il mio primo atto di immaginazione post lockdown. La Lombardia era ancora chiusa. Un dolore muscolare molto forte mi impediva di correre. Il bisogno di aria aperta era impellente. E quello che doveva essere un ripiego si è trasformato in una scoperta. È finita con noi che compriamo un porta-bici da auto e questa estate giriamo l’Italia come nomadi digitali del lavoro, con una bici sempre pronta per trasformarci nei minuscoli esseri invisibili che entrano nel magico mondo dei mille verdi diversi.
Ma un atto di immaginazione ce lo chiede anche il lavoro. Lo smartworking è stato stressante, faticoso e anche fisicamente duro. Eppure, nei momenti di lucidità, abbiamo intuito le potenzialità di questo modo di lavorare, abbiamo immaginato come potrebbe cambiare in meglio la nostra vita se ne disinnescassimo gli aspetti negativi.
Così, rientrata dal viaggio in bici, mi sono assicurata che tutti i miei colleghi avessero avuto la mia stessa fantasia sul futuro del lavoro e adesso stiamo costruendo assieme un nuovo metodo che fino a pochi mesi fa sarebbe stato impensabile. Un metodo che si regge sulla fiducia, sulla professionalità, sulla coerenza tra il lavoro che facciamo e ciò in cui crediamo, ma soprattutto su quell’atto di immaginazione che ci ha fatto vedere una vita migliore davanti, se solo ci impegniamo a compiere dei piccoli grandi cambiamenti.