Secondo stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è l’inquinamento dell’ambiente a causare il 23% delle morti nel mondo e il 24% di tutte le malattie. In particolare sono aumentate le patologie allergiche in età pediatrica proprio a causa di inquinanti ambientali. L’American Institute for Cancer Research, inoltre, ha calcolato che diabete, malattie cardiovascolari, obesità e tumori hanno come concausa un’alimentazione sbagliata, a base di cibi standardizzati, industriali, destinati al consumo di massa.
Occorre un cambio di rotta: nelle nostre scelte alimentari, ma anche politiche ed economiche, a livello mondiale. “Lo sviluppo economico non può prescindere dal confronto con l’ambiente, le risorse disponibili e il territorio: deve includere tutti e creare benefici per tutti» dice Gianluca Ranieri, economista ed esperto in teoria dei sistemi, ideatore del progetto B-Planet, un tour informativo itinerante che promuove l’educazione allo sviluppo sostenibile e punta alla realizzazione di progetti di rigenerazione e resilienza. «Vogliamo creare una comunità di persone interessate all’elaborazione di nuove idee, attraverso la conoscenza e il dibattito».
Quali sono gli alimenti standardizzati?
Sono la maggior parte dei prodotti che acquistiamo dalla grande distribuzione. «Significa che i cibi che arrivano sulle nostre tavole sono omologati, realizzati e confezionati allo stesso modo in tutto il mondo, processati con la finalità di renderli più appetibili e sempre uguali per incoraggiare il consumatore all’acquisto acritico. Sono però prodotti non adatti a tutti e con il rischio di problemi di intolleranze alimentari» dice Ranieri. «È chiaro che non tutti gli alimenti presenti oggi sulle nostre tavole sono standardizzati e di scarso valore. È più corretto affermare che una gran parte di questi alimenti sono standardizzati e una gran parte di scarso valore. Sono prodotti sradicati dal loro ambiente culturale e geografico, la cui produzione intensiva e in habitat non ottimali richiede l’uso costante di fertilizzanti, pesticidi, medicinali e diserbanti, inquinanti che, oltre a danneggiare l’ambiente, si propagano attraverso i cibi con un grave impatto sulla salute». Ogni anno, infatti, nel mondo muoiono 8milioni di persone per cause relative a problemi ambientali, molte altre sviluppano malattie respiratorie, cardiovascolari, delle pelle, tumori, oltre a tutte quelle allergie che riducono notevolmente la qualità della vita.
Quali sono invece i prodotti locali?
«Sono locali quei prodotti che hanno la tendenza a crescere spontaneamente e che sono in armonia con l’ambiente circostante, che non necessitano di concimi di sintesi che danneggiano i suoli» prosegue l’economista. «La solina o saragolla, per esempio, sono farine di una specie di grano abbandonato anche per l’eccessiva altezza della piante, altezza che però limita lo sviluppo di infestanti e permette una crescita naturale senza necessità di diserbanti tossici per l’uomo».
Come ci si può tutelare?
«Informandosi prima di tutto, scegliendo prodotti locali che abbiano una loro specificità nutrizionale e produttiva, e che sviluppino elementi organolettici che mancano alle culture standardizzate e che sono fondamentali per la salute» conclude Ranieri. «I prodotti locali inoltre, dovrebbero essere intesi non soltanto come fattore biologico dell’alimento ma anche fattore identitario, elemento di differenziazione e di coesione sociale. Scegliere cibi biologici, pertanto, non è utile soltanto alla nostra salute, ma concorre alla biodiversità che garantisce la sopravvivenza di un ecosistema oltre a salvaguardare le tradizioni culturali ed alimentari, patrimonio del nostro territorio».
di Alina Di Mattia