Secondo il nuovo rapporto dell’Ipcc, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, se non verranno accelerate le misure per contrastare l’effetto serra, la temperatura globale potrebbe salire di 1,5 gradi da qui al 2030. Le conseguenze? L’innalzamento degli oceani e la desertificazione determinerebbero migrazioni di massa, molte specie naturali sparirebbero, si moltiplicherebbero gli eventi meteorologici estremi…
Di fronte al nuovo allarme perfino Donald Trump ha dichiarato, in un’intervista alla Cbs, di non ritenere più il climate change «una bufala». Come mai il presidente che ha fatto uscire gli Usa dagli accordi di Parigi sul clima sembra aver cambiato idea? Gli americani stanno sperimentando sulla propria pelle le tragiche conseguenze di uragani come Micheal, che ha devastato la Florida. E se Trump continuasse a negare il riscaldamento globale, si alienerebbe il consenso delle popolazioni colpite: cosa che non può permettersi in vista delle elezioni di mid-term.
Ma quando, sempre alla Cbs, The Donald ha dichiarato che non sa se il responsabile sia l’uomo e che «il clima potrebbe tornare indietro», parlava in realtà alle società petrolifere che hanno sostenuto la sua campagna elettorale e a quell’industria pesante che vuole attirare negli Usa. Dicendo, in sintesi: «Vi assicuro che non incentiverò altre fonti energetiche, e che qui le leggi anti-inquinamento non contano».
Insomma, il suo è un discorso meramente politico. Ma, come ha detto il segretario dell’Onu António Guterres, «il clima cambia più rapidamente di noi». E se nel 2030 Trump non sarà più al potere, i nostri figli subiranno comunque le conseguenze delle sue scelte opportunistiche.
(testo raccolto da Elisa Venco)
→ Sull’emergenza climatica Luca Mercalli ha appena pubblicato il saggio Non c’è più tempo (Einaudi).