Nella sala d’attesa dell’Institut Marquès a Barcellona, tra piante e materiali ecologici, nei contenitori di vetro ci sono ciucci per neonati al posto delle caramelle. «Sembra un dettaglio, ma per una donna che non riesce ad avere figli è il segno di essere arrivata nel posto giusto» racconta Sara, 42 anni, ristoratrice con il marito sul lago d’Orta.

Un anno fa è diventata mamma grazie all’embriodonazione, una tecnica non autorizzata in Italia ma possibile in questa clinica spagnola fondata 95 anni fa. Oggi ha sede in una costruzione moderna che assomiglia poco a un centro medico di riproduzione assistita, come nelle intenzioni della direttrice Marisa López-Teijón Pérez. La privacy, insieme alla riuscita dei trattamenti, attirano pazienti da più di 20 Paesi del mondo. Dopo una scomoda diagnosi d’infertilità («i miei ovociti sono di scarsa qualità »), 4 anni fa Sara ha conosciuto in un gruppo Facebook una ragazza che le ha parlato della possibilità di adottare un embrione.

«La legge spagnola parla di “donazione” quando una coppia dona volontariamente gli ovuli fecondati in sovrannumero; parla di “adozione” quando i genitori biologici non prevedono una destinazione precisa per i loro embrioni, lasciandoli di fatto in custodia alla clinica che dopo 4 anni può donarli ad altre coppie, alla ricerca o distruggerli» spiega Jordi Suñol, direttore medico dell’Institut Marquès che, tra le altre tecniche, dal 2004 ha avviato il primo Programma internazionale di adozione di embrioni.

Negli Stati Uniti questa possibilità è sostenuta dalle associazioni cattoliche fin dal 1998, anno di nascita della prima “snowflake baby”, la bambina fiocco di neve, come sono chiamati i bimbi nati da embrioni crioconservati. Mentre in Europa gli standard della procedura sono regolamentati da direttive europee, che poi ogni singolo Paese integra con le proprie leggi.

Una scelta che solleva dubbi etici

Il pellegrinaggio verso l’estero di tante coppie italiane è dovuto al fatto che non esiste una legislazione che dichiari adottabili gli embrioni. La legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita è aperta alla fecondazione eterologa, ma stabilisce che il destino degli embrioni soprannumerari è restare congelati per sempre, conservati in azoto liquido (in gergo, “vitrificati”) a una temperatura di -196 gradi. E mentre le spese di mantenimento sono a carico dello Stato, ai genitori biologici che non intendono più impiantarli non è permesso deciderne la sorte, come invece accade altrove.

«A chi mi dice che un figlio a tutti i costi non è un diritto, da atea ribatto che in questo modo ho fatto nascere una vita potenziale che in Italia sarebbe rimasta congelata all’infinito» precisa Sara. Nel nostro Paese il tema è molto delicato. Le posizioni ruotano intorno a una questione etica: l’embrione in vitro è gia una vita umana o prima di essere accolto nell’utero è un insieme di cellule?

«Già la scelta del termine può essere intenzionale» spiega Chiara Lalli, docente di Bioetica all’università La Sapienza di Roma. «Parlare di adozione, per esempio, ben si coniuga con l’idea pro-vita per cui gli embrioni siano soggetti giuridici con dei diritti fondamentali, come per esempio a nascere e a vivere, al pari di chi è già venuto al mondo e potrebbe essere chiamato a decidere del loro destino».

Non a caso la Chiesa, da sempre contraria a ogni forma di fecondazione artificiale, è invece favorevole a questa ipotesi. «Se per alcuni cattolici gli embrioni sono persone già formate, è chiaro che la cosa migliore è che qualcuno li adotti» aggiunge Chiara Lalli. «Oltre che sulla questione morale, è importante interrogarsi su quanto sappiamo dello stato di salute di questi embrioni: da dove arrivano? A quali screening sono sottoposti? Risposte che cambiano da Paese a Paese, ma che aiutano a identificare il centro più affidabile se si decide di percorrere questa scelta».


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Un percorso meno costoso ma emotivamente più toccante

Gli interrogativi, in effetti, non mancano: perché una coppia dovrebbe preferire l’adozione di un embrione ad altre tecniche di riproduzione assistita? Jordi Suñol, direttore medico del centro catalano, risponde: «Il vantaggio è la semplicità. I costi sono ridotti, ovvero 3.000 euro a fronte degli 8-9.000 della fecondazione eterologa (ossia con uno o entrambi i donatori esterni alla coppia, ndr); non c’è necessità di sottoporsi alla stimolazione ovarica, ma bastano cerotti e ovuli per preparare l’utero al transfer dell’embrione. E non c’è lista d’attesa».

Oltre al fatto che qui a Barcellona possono diventare genitori “adottivi” anche donne single o coppie lesbiche, che in Italia sono escluse dalla legge 40 sulla procreazione assistita. Anche la percentuale di successo, ovvero di gravidanze ottenute dopo un transfer, è del 57%. Non ci sono svantaggi, dunque? «L’aspetto “contro”, e non indifferente, è accettare l’idea che tuo figlio non avrà il Dna né tuo né di tuo marito» risponde Sara. «Già prima di volare a Barcellona avevo capito che per diventare genitori avremmo dovuto usare il seme di mio marito e gli ovociti di una donna più giovane. Dopo lo sconforto iniziale, ho pensato che un figlio è di chi lo porta nella pancia per 9 mesi e lo cresce per tutta la vita. Anche mio marito era d’accordo: “Preferisco che questo figlio sia o di tutti e 2 o di nessuno di noi” mi ha detto».

«Così abbiamo fissato un primo appuntamento con la clinica spagnola a Milano, dove ha sede un laboratorio, e una dottoressa ci ha spiegato tutto il percorso. A casa ho cominciato a prendere i farmaci necessari ad accogliere l’embrione il giorno del transfer. E il 19 ottobre 2017 mi sono presentata in clinica a Barcellona, emozionata e spaventata insieme. Pioveva, ma ancora oggi ricordo quel giorno con gioia immensa. Mio figlio è nato nel luglio del 2018. È un bambino bellissimo, e la cosa più incredibile è che assomiglia a mio marito. In famiglia tutti sanno com’è nato. Non mi vergogno, anzi sono molto orgogliosa della scelta intrapresa. E quando avrà l’età giusta gliela racconterò».

Dove rivolgersi

Vietata in Italia dalla legge 40, l’embrioadozione è possibile in Spagna, Grecia, Belgio, Ucraina, Cipro, Repubblica Ceca, Gran Bretagna e Stati Uniti. Costi e sicurezza del trattamento dipendono dal singolo Paese e dalla clinica. Nel 2015 l’Instituto Marqués di Barcellona ha aperto uno studio a Milano solo per le prime visite e le diagnosi (tel. 0287368765), a Roma è in partnership con la Clinica Villa Salaria (tel. 0697628734). Il costo di un ciclo è di circa 3.000 euro, la percentuale di successo è del 57%.