“Codice Rosa”. Due parole che in questi giorni sono sulla bocca di tutti, sui giornali e in televisione. Ma di cosa si tratta? Perché sta causando polemiche infuocate? Tutto è iniziato qualche giorno fa, quando la commissione Bilancio della Camera ha approvato un emendamento alla Legge di stabilità, presentato dalla deputata del Pd Fabrizia Giuliani. Il testo prevede l’istituzione in tutti i Pronto Soccorso di un Codice Rosa, ovvero una task force composta da medici, infermieri, operatori sanitari e delle forze dell’ordine, formati per aiutare la donna vittima di violenze. Un’iniziativa che è già realtà in tante strutture italiane (la prima è stata la Regione Toscana) e che è stata ideata da Vittoria Doretti, dirigente medico ASL 9 Grosseto.
Queste poche righe hanno scatenato le tante associazioni che si occupano da anni del fenomeno, da Telefono Rosa a Fondazione Pangea. Il percorso, sostengono le onlus, obbliga le donne a denunciare e a entrare, quindi, in una spirale pericolosa fatta di compagni o mariti pronti a vendicarsi. La denuncia, invece, dev’essere una scelta libera e frutto di un percorso personale. In queste ore, quindi, le associazioni lanciano appelli e raccolte di firme per cancellare l’emendamento. Che, però, non parla mai esplicitamente di “obbligo di denuncia”.
Allora, che cosa sta succedendo davvero? Cosa cambierà, in concreto, nelle corsie degli ospedali? Per ora sembra tutto in stand-by, con la legge di stabilità che dovrebbe essere approvata i prossimi giorni.
Com’è nato il Codice Rosa
Intanto, a Grosseto, la dottoressa Doretti e la sua équipe continuano a svolgere il loro lavoro. L’abbiamo contattata ma non ha potuto rilasciare dichiarazioni in merito. Noi, però, l’avevamo già intervistata due anni fa, quando il Codice Rosa era una realtà da pochi giorni. Qui ci spiegava da cosa nasceva il suo progetto. «Sono specializzata in rianimazione, ma ho sempre seguito convegni e iniziative sulla violenza femminile. Un giorno, pensando a cosa succede alle vittime di abusi che arrivano al Pronto soccorso (trovano solo caos, file, radiografie), capii che ci voleva qualcosa per loro. Così ho inventato Codice Rosa, che non si riferisce al colore ma al fiore, delicato e fragile. Come le persone che subiscono soprusi. Abbiamo mosso i primi passi nel 2009 e da allora non ci siamo più fermati».
Come funziona il Codice Rosa
«Quando arriva una persona con ferite o traumi sospetti, viene portata nella stanza rosa» spiega. «Qui trova un’équipe addestrata composta da 20 medici, infermieri, psicologi e forze dell’ordine che la aiutano. Tutto ruota intorno a lei: gli esperti la visitano, la ascoltano e la seguono passo dopo passo con la massima riservatezza. Non la forzano a sporgere denuncia, ma le fanno capire che non è sola. E può uscire dall’incubo».
Al di là di leggi, dibattiti in Parlamento e sui giornali, la quotidianità è fatta di 6.788.000 italiane che, lo conferma l’Istat, hanno subito una violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita. «Oggi sono di più le persone che vogliono uscire dall’ombra. Perché il primo passo è proprio ammettere di essere una vittima e confidarlo a qualcuno. Alle nostre donne non diciamo subito: “Denuncialo”. Ma le abbracciamo e promettiamo che qui troveranno qualcuno pronto a combattere con loro». Il centro di Grosseto è diventato il riferimento nazionale di una rete di ospedali che hanno realizzato lo stesso progetto. Ma non basta. «Facciamo formazione e andiamo nelle classi» dice la dottoressa Doretti. «Mio papà era preside e mi ha insegnato ad ascoltare i giovani, a parlare con loro. Perché se educhi un ragazzino a rispettare amiche e compagne, non avrai mai un uomo brutale».