“Indifferibile”. Così era stata definita la riforma che avrebbe dovuto rendere sempre possibile e semplice scegliere il cognome materno nel nostro Paese. Era il 2016 e da allora, quando la Corte Costituzionale si è pronunciata con la sentenza n. 286, sono passati ben tre anni senza che quella indicazione si sia tradotta in realtà. Ancora oggi, chi volesse optare per il cognome della madre invece che per quello del padre (oppure adottarli entrambi) si trova a dover affrontare una serie di difficoltà burocratiche e paletti.
Il tema è tornato d’attualità proprio in questi giorni: «Siamo appena state ricevute dal ministro per la Pubblica Amministrazione, Fabiana Dadone, a cui abbiamo consegnato un dossier sollecitando una riforma che già tre anni fa era stata definita indifferibile dalla Consulta. Ora chiediamo che diventi realtà, grazie al coinvolgimento anche dei ministri dell’Interno e delle Pari Opportunità» spiega Rosanna Oliva de Conciliis, presidente della Rete per la Parità. «Cinquant’anni di battaglie non sono bastati a cambiare alcune leggi, come quella del 1975 che prevede che una donna, al momento di sposarsi, aggiunga al proprio cognome quello del marito. La società è cambiata, occorre un adeguamento ma soprattutto, per il cognome di figlie, figli e della donna coiugata, abbiamo ancora norme incostituzionali in tema di parità uomo-donna e non rispettose del diritto all’identità di tutte e tutti».
Si può avere il cognome della madre?
Grazie alla sentenza del 2016 della Corte Costituzionale portare il cognome della madre è molto più semplice, o meglio sarebbe. La scelta di quello paterno ha origini “antiche” e parte dal retaggio che mater semper certa est, la madre è sempre certa. Oggi il codice civile prevede che i figli nati da una coppia regolarmente sposata abbiano il cognome paterno (art. 6). Per quelli nati al di fuori delle nozze – come avviene sempre più spesso dato il calo dei matrimoni – il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo riconosce ma, in caso ciò avvenga contemporaneamente, quello del padre (art. 262). Se, infine, il riconoscimento da parte del padre avviene in un secondo tempo, quando il bambino ha già il cognome della madre, quello dell’altro genitore può essere aggiunto (o sostituito).
La sentenza della Consulta ha poi inserito la possibilità di aggiungere anche quello materno, in accordo con entrambi i genitori. «Purtroppo da allora non solo non si è fatta alcuna riforma, ma molti genitori non sanno neppure di questa possibilità. Solo alcuni comuni hanno informato correttamente e modificato le procedure, come Genova da dove era partito il ricorso della coppia che ha poi portato al pronunciamento della Consulta. In altri, come Roma, è rimasto tutto uguale» dice Oliva de Conciliis.
Il cognome della madre solo come secondo
«Un altro limite è che al momento si può solo aggiungere il cognome della madre come secondo, mentre non può essere scelto come primo o unico. Se poi si ha già un cognome doppio per parte di madre o padre, il figlio potrebbe finire con l’avere tre o quattro cognomi, quindi si rinuncia. Occorrerebbero delle norme per semplificare» spiega la presidente della Rete per la Parità.
Esiste anche un altro aspetto, che paradossalmente favorisce le coppie dello stesso sesso. Eccolo.
Il paradosso delle unioni civili (e delle elezioni)
«Al momento siamo di fronte a un paradosso. La recente legge su unioni civili e convivenze prevede che in caso di unioni civili ci sia la possibilità di assumere un cognome comune, quindi o doppio (di entrambi) oppure solo di lei o di lui. In caso di matrimonio questo non è previsto. Al contrario, la riforma del diritto di famiglia del 1975, tuttora in vigore, stabilisce che quando una donna si sposa aggiunge al proprio cognome quello del marito» dice Oliva de Conciliis. Il famoso Maria Rossi “in” Bianchi, per fare un esempio.
La questione è tornata a sollevare polemiche in occasione delle elezioni europee, quando alcune elettrici si sono ritrovate il proprio cognome seguito da quello del marito. Si pensava fosse un retaggio del passato, quando la donna, sposandosi, assumeva in toto l’identità del marito: «È quello che è accaduto a me, sposandomi prima del ’75. Con la riforma si è solo modificata la legge, con l’aggiunta del cognome dell’uomo a quello della donna, che prima invece era cancellato. Oggi, però, non solo è anacronistico perché la società è cambiata, ma è anche incostituzionale» spiega la presidente.
Questione di parità (e non solo)
«La questione del cognome incontra un forte interesse, come dimostrano le 54.250 firme raccolte nella petizione su Change.org. Ma ciò che più conta è che la Consulta ha riconosciuto l’incostituzionalità della legge attuale. Viola l’articolo 2 della Costituzione sul diritto all’identità, l’art. 3 sull’uguaglianza dei cittadini e il 29 sull’“uguaglianza morale e giuridica” dei coniugi. Da qui l’urgenza di un intervento del Parlamento, dove invece ci sono ferme ben sei proposte di legge tra Camera e Senato. Ora attendiamo un incontro con il ministro dell’Interno, Lamorgese, che è quello con le maggiori competenze» spiega Oliva De Conciliis.
Gli orfani di femminicidio e i paradossi
Al momento le uniche modifiche alle procedure per cambiare il cognome riguardano gli orfani di vittime di femminicidio. Ad esempio, non è richiesto il consenso dell’altro genitore per cambiare cognome. «Vorremmo questo iter per tutti, con la possibilità non solo di aggiungere il cognome della madre, ma anche di anteporlo a quello paterno o assumerlo come unico, entrambe opzioni oggi non sono possibili» spiega la presidente di Rete per la Parità. Chiunque voglia semplicemente aggiungere il cognome materno, poi, al momento deve armarsi di pazienza e tempo: «Ci vuole circa un anno, occorre presentare richiesta in Prefettura, va sentito anche l’altro genitore, ma soprattutto bisogna prepararsi a una serie di inconvenienti, come il cambio del codice fiscale con tutte le conseguenze burocratiche del caso» – spiega l’esperta – «A volte, poi, ci si trova casi paradossali come quello di una donna nata negli Usa, dove ha assunto il cognome della madre, ma una volta trasferita in Italia le è stato modificato d’ufficio con quello del padre. Il risultato è che ha un cognome sul passaporto e un altro sui documenti italiani».