È costituzionale che un figlio debba portare per legge il cognome paterno e non quello materno? Oggi la decisione della Corte costituzionale presieduta da Giuliano Amato scrive un nuovo capitolo nella storia dei diritti delle donne.
Il Parlamento dovrà decidere sul cognome materno
Un diritto finora negato dall’articolo 262 del codice civile, quello di poter dare ai propri figli, con questa sentenza – che verrà depositata nelle prossime settimane – finalmente sarà rispettato. Spetterà al Parlamento – come scrive esplicitamente la stessa Corte – «regolare tutti gli aspetti connessi alla decisione assunta». Adesso diventa indispensabile cambiare la legge. Cade insomma un tabu, che la Corte inseguiva da un anno. Il 14 gennaio 2021 proprio la Corte aveva affrontato la questione.
Cognome materno: dal caso di Bolzano
Questione che era già stata affrontata dalla Corte Costituzionale fin dal 2016, quando si era pronunciata con una sentenza che riteneva incostituzionale l’articolo 262 del Codice civile, e sollecitava un intervento urgente del legislatore. Ma da allora la legge non è stata modificata, nonostante diverse proposte in Parlamento, e così la Consulta aveva deciso nel 2021 di affrontare nuovamente la questione, sollevando un dubbio di costituzionalità davanti a se stessa. Il tutto partendo dal caso di una coppia di Bolzano, non sposata, che di comune accordo avrebbe voluto attribuire al figlio il cognome della madre, per il semplice motivo che in lingua tedesca “suona meglio”.
La sentenza avrà validità generale
Partendo dal singolo caso, però, i giudici hanno deciso di affrontare la questione per pronunciarsi con una sentenza che da oggi avrà validità generale e per tutti, sia per i figli nati nel matrimonio sia per quelli nati fuori e riconosciuti. A presiedere la giuria è Giuliano Amato, lo stesso che nel 2016 firmò la prima sentenza “storica” in materia.
I giudici della Corte Costituzionale hanno deciso di superare il singolo caso (nello specifico quello della coppia di Bolzano che ha presentato ricorso), per arrivare a un pronunciamento generale e possibilmente “definitivo”: «Il fatto che la Consulta abbia deciso di sollevare un dubbio di costituzionalità davanti a se stessa significa che il pronunciamento non avrà a che fare solo per il singolo caso, ma avrà validità generale e potrà avere valenza retroattiva» chiarisce Paola Di Nicola, giudice del Tribunale di Roma.
Sono sei le proposte di legge sul cognome materno
Perché proprio adesso? La decisione arriva da una precedente sentenza del 2016 che si era occupata della possibilità di dare il doppio cognome, dunque anche quello materno. In quel caso i giudici definirono incostituzionale l’attribuzione automatica ed esclusiva del cognome paterno, perché «retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna».
L’Italia tra i pochi Paesi ad attribuire il cognome paterno in automatico
«Si invitava il legislatore a intervenire in tempi rapidi, ritenendo ‘inammissibile’ che la legge si fondasse ancora sul diritto romano, mentre ormai nella nostra società è tramontata la potestà patriarcale ed è necessario mettere sullo stesso piano i diritti di donne e uomini. Ma, nonostante ci siano moltissime proposte di modifica della legge sul cognome, finora non si è arrivati a un consenso pieno e così non è cambiato nulla. Per questo oggi la Corte Costituzionale torna a chiedere di porre fine a un’anomalia tutta italiana, perché siamo uno dei pochissimi Paesi in Europa e nel mondo ad avere questo sistema di attribuzione automatico del cognome paterno» spiega il giudice.
Si può dare il solo cognome della madre?
Al momento in Italia non è possibile scegliere solo il cognome materno. Secondo l’articolo 262 del Codice civile “Il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto”. Ma qualora “il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, il figlio assume il cognome del padre“. È proprio questo il punto che era al vaglio della Consulta. «Non è possibile andare avanti a sentenze della Corte su singoli ricorsi. Occorre una legge che tenga conto del fatto che è cambiata la sensibilità culturale del nostro Paese, c’è insomma un nuovo clima. Ora ci sono anche molte donne nella Corte Costituzionale, dove una donna, Marta Cartabia, era stata anche nominata presidente» osserva Paola Di Nicola.
In quale caso si può avere il doppio cognome?
Il pronunciamento della Corte Costituzionale avrà validità sia per i figli nati dentro il matrimonio che per quelli nati fuori e riconosciuti, nonostante l’articolo 262 faccia riferimento ai secondi e nonostante la coppia di Bolzano non sia sposata: «Ormai dal 2013 non c’è più distinzione. La legge parla chiaro e dice che “il figlio assume cognome del genitore che primo lo ha riconosciuto. Se il riconoscimento avviene contemporaneamente, assume quello del padre”. Ciò accade nella maggioranza dei casi, perché banalmente la madre dopo il parto è ancora in ospedale ed è il padre che si reca all’anagrafe» spiega Di Nicola.
Se, invece, il riconoscimento da parte del padre avviene in un secondo tempo, il bambino avrà il cognome materno, ma potrà sempre aggiungere anche quello paterno o sostituirlo.
La raccolta firme
«Non è la prima volta che la Consulta ha sollevato un dubbio di costituzionalità davanti a se stessa, però è accaduto in rarissimi casi – spiega la giudice – Questo dimostra la volontà di intervenire in maniera seria e complessa rispetto a una questione che ha radici nel diritto romano». Per chiedere la possibilità di attribuire il cognome materno è stata anche organizzata una raccolta firme su Change.org, che ha raccolto finora 55mila firme, in nome di una maggiore uguaglianza e perché, secondo i richiedenti, le norme attuali violano l’articolo 2 della Costituzione sul diritto all’identità, l’art. 3 sull’uguaglianza dei cittadini e il 29 sull’«uguaglianza morale e giuridica» dei coniugi.
Cosa accadrà adesso?
Dopo il pronunciamento del 2016 non è seguita alcuna modifica della legge. La decisione della Consulta, che ha dichiarato incostituzionale l’articolo del Codice Civile, ha creato un vuoto legislativo, “obbligando” adesso il Parlamento ad approvare una legge in merito.
Questo significa che si potrebbe anche uscire dalla condanna che l’Italia ha ricevuto dalla Corte europei per i Diritti dell’uomo, per una norma ritenuta «discriminatoria verso le donne». Il Trattato di Lisbona sottoscritto anche dal nostro Paese, infatti, vieta discriminazioni fondate sul sesso.