È quasi contro natura cercare una letteratura scientifica sui coinquilini: non basta Friends? Forse è per la natura enciclopedica della serie tv degli anni Novanta che gli studi riguardanti i coinquilini sono sorprendentemente lacunosi: gli psicologi, sotto sotto, sanno di essere di troppo. Testi a riguardo ci sono, certo, ma si concentrano su determinate dinamiche relazionali (le conseguenze dal punto di vista sociale, piuttosto che psicologico o talvolta economico), e vanno poco a fondo di quella che è a tutti gli effetti una delle più belle (o terribili) dinamiche relazionali si possano sperimentare nella propria vita.

Le complessità della relazione tra coinquilini le conosco bene, le ho sperimentate sulla mia pelle. Nel corso della mia vita da fuorisede, iniziata nel 2018, ho condiviso la casa con Asia, Beatrice, Antonio, Nicola, Clara, Jennifer, Giorgio, Ilaria, Christian, Juliette, Istiaq, Elisabetta, Queenie, Liana, Hanya, Yeeleng, Marie, Laurine, Alessia, Fabiana, Elisa, Valentina, Giorgia, e molti altri di cui non ricordo neppure il nome. Sì, perché i coinquilini – soprattutto negli anni dell’università – vanno e vengono. Eppure con tutti ho percorso un pezzo di strada: cosa sarei oggi, se fossi sempre stata sola? Me lo sono chiesta interrogandomi sui dati sempre più scoraggianti riguardanti l’emergenza abitativa della Gen Z.

Se oggi essere fuorisede è un lusso

Con affitti raramente sotto i 600 euro, famiglie che sempre meno riescono (e vogliono) sostenere le spese relative a università e vita da fuorisede, e lavoretti – primi lavori, stage, baby sitting e pet sitting – sottopagati e sempre meno tutelati, i ragazzi che riescono a cominciare la vita da soli sono sempre meno. Oggi sono 450mila (900mila se si contano anche i pendolari), ma solo due anni fa si parlava di 591mila studenti (dati Istat). E tra quei pochi che riescono a lasciare casa e famiglia, sempre di più sono gli appartenenti a classi medio-alte e famiglie benestanti, che dunque spesso possono permettersi bilocali o appartamenti con pochissimi coinquilini: la stanza doppia, all’interno di questo mercato, sta infatti diventando un prodotto quasi paradossale, che alterna costi sempre più alti a una domanda sempre più bassa.

La conseguenza è presto detta: il coinquilino, figura a questo punto già quasi mitologica, è destinato a scomparire

Un fenomeno che si registra già a Londra, metropoli che ci ha preceduti di qualche anno rispetto all’emergenza abitativa, e dove si comincia a riflettere andando in profondità delle conseguenze sociali e non solo limitandosi a commentare i dati. A peggiorare questo quadro, la generazione che più ne paga le conseguenze è quella più sola, meno abituata al contatto fisico, e al contempo più ansiosa e più sensibile ai cambiamenti: la Gen Z. Non può essere un bene.

Il grande potere dei coinquilini

Risale al 2014 uno studio della George Mason University della Virginia che descrive l’importanza delle relazioni tra coinquilini per il corretto «inserimento sociale» dei giovani, e in particolare degli studenti. Il primo fattore analizzato è quello dell’intimità: è con loro, infatti, che si fa per la prima volta esperienza della vita quotidiana e intima al netto dell’affetto che ci lega alla famiglia piuttosto che ad amici o partner. Penso a Beatrice, che oggi mi videochiama dall’Australia dove si è trasferita quasi un anno fa, con la quale ho condiviso un letto a castello. Non è mai andata a letto più tardi delle nove (e non si è mai svegliata dopo le dieci), e ho capito che stavamo diventando amiche quando ha cominciato ad aspettare che mi alzassi per bere il caffè insieme.

Il rapporto con i coinquilini non è ricco di benefici solo quando la vita è simile a una puntata di Friends, How I Met Your Mother o Big Bang Theory (sì, negli anni Novanta il problema dei coinquilini di certo non esisteva), anzi spesso sono proprio i rapporti conflittuali a insegnarci di più. Per evitarli se non ci stanno simpatici, o per prevenire i conflitti, rafforziamo le nostre capacità di problem solving. Inoltre, più persone vivono insieme, più si deve imparare anche a mediare, a esprimersi diplomaticamente per cercare di mettere in accordo tutti. Penso ai contenitori della differenziata per cui Beatrice non ha mai voluto pagare la sua quota (sei euro che ancora oggi deve ad Antonio, «una questione di principio»), allo spazzolino che l’ex della mia migliore amica lasciava sul lavandino sperando che cedessi e lo lasciassi rimanere in pianta stabile, Laura che è rimasta mesi in casa mia ma non puliva perché «non sapeva dove fosse l’aspirapolvere».

Bohemian life tra bollette, danni e caparre

Penso anche ai rapporti con il padrone di casa (o l’agenzia), spesso adulti che hanno non solo un ruolo di potere ma anche la funzione di autorità, e che possono portare ad alleanze tanto quanto a sotterfugi subdoli. Il mio primo padrone era “il Signor Rocco”, titolare di un’agenzia che si presentava in casa senza nemmeno avvisarci per effettuare delle specie di controlli a campione, e da cui più volte ci siamo nascoste. La vita dei fuorisede, soprattutto nel periodo dello studio e dei primi lavori, è anche una vita bohémien, come racconta il musical Tick Tick… Boom! di Jonathan Larson (lui poi di coinquilini bohémien ne parlerà anche in Rent, ma quella è un’altra storia). Si cerca di ovviare alla lampadina che costa troppo, di sturare i lavandini insieme invece che chiamare (e pagare) un idraulico, nascondere il solco fatto per sbaglio sul muro o le crocchette del cane che non si potrebbe tenere (e il cui ricavato di pet sitting serve per arrotondare).

Tutte queste gioie e tutti questi dolori non sono solo il preludio della futura vita con il partner per chi arriverà a quella fase, ma anche vere e proprie soft skill

Competenze trasversali che in un primo momento aiutano ad ambientarsi in università – dove vigono leggi completamente diverse rispetto a quelle del liceo – e poi sul lavoro.

Coinquilini e salute mentale, gli studi

Che la vita con i coinquilini possa essere un vero inferno non lo metto in dubbio, ma al tempo stesso mi preoccupa un mondo in cui intere generazioni non abbiano modo di sperimentare questo tipo di relazione. Soprattutto pensando ai benefici che ha sul benessere psicologico, come conferma uno studio del 2010 di Nicholas A. Bowman per il Journal of College Student Development. La salute mentale è visibilmente migliore per gli studenti alle prese con le prime esperienze in università o college che sono riusciti a stringere rapporti interpersonali positivi con altri coetanei, studenti e coinquilini.

Durante i miei anni a Bologna, due dei miei tre coinquilini erano anche compagni di corso e vivevamo insieme la scoperta dei voti agli esami, lo studio e il ripasso. Per l’esame di Storia Contemporanea, il primo e il più pesante che abbiamo mai sostenuto, io e Antonio abbiamo alternato mattine in università, notti a studiare e ripetere, pomeriggi a fare i riassunti. E un’intera stagione di The Crown usata per ripassare i punti salienti della politica estera inglese.

Coinquilini e salute mentale, I’ll be there for you

Ma il rapporto con i coinquilini non è un toccasana soltanto durante gli anni dell’università. Utilizzando sempre Friends come fonte scientifica inscalfibile, Rachel Green non sarebbe mai riuscita a diventare prima la peggiore cameriera del Central Perk e poi la talentuosa assistente di Ralph Lauren senza Monica e Phoebe, che l’hanno aiutata a muovere i primi passi nel mondo reale, prendersi i suoi spazi senza essere egoista e sfogarsi senza piangersi addosso.

Io, Rachel fatta e finita, mi deprimo solo al pensiero di come sarebbe stato il mio ultimo anno di vita senza i miei coinquilini

Le ore passate per terra insieme a Marie, alternando pianti e risate, per «connetterci con la Terra» quando non sapevamo dove stessimo andando. Le late night talks con Jennifer, che non riesce a prendere sonno prima delle tre di notte, per analizzare ogni singolo secondo della serata a cui sono stata o per guardare un film tremendo (e piangere pure). Persino senza le discussioni con Giorgio, che «sa già quello che sto per dire» e a volte perde la pazienza, ma che finiscono sempre in grandi risate. Chi non vivrà questa esperienza si perderà per sempre un pezzo di vita.

Lo penso anche oggi, a pochi giorni dal Natale, quando l’ultima arrivata in casa invece che augurarmi buone Feste mi scrive per dirmi che mi sono scordata di lavare i piatti. Il messaggio finisce con: «La prossima volta, facci caso», e penso che sia un po’ questo il grande insegnamento che mi hanno dato i miei coinquilini. Fare caso a me e agli altri, a quello che mi piace e a quello che non mi piace, ai confini che voglio tracciare. Lo si impara insieme, e le cose imparate insieme sono sempre le più belle.