Si chiama colangite biliare primitiva: un nome complicato per una malattia autoimmune del fegato fino a poco tempo fa ancora sconosciuta. E che a oggi in media viene diagnosticata ben due anni dopo la comparsa dei sintomi.
Ora questa patologia è diventata “visibile” grazie a uno studio appena pubblicato: per la prima volta, gli esperti hanno fatto un vero e proprio identikit dei pazienti e in nove casi su dieci si tratta di donne tra i 40 e i 60 anni.
I sintomi della malattia
I primi segnali sono la stanchezza e un prurito che non lascia tregua. Aumenta i sospetti anche il gonfiore addominale, che non migliora nel tempo, difficoltà a digerire, nausea e secchezza della bocca. «In questi casi andrebbe fatto un semplice esame del sangue» spiega Pietro Invernizzi, direttore della Gastroenterologia e malattie autoimmuni del fegato dell’ospedale San Gerardo di Monza. «Il sospetto può venire in caso di aumento dei valori della fosfatasi alcalina, delle transaminasi e delle gamma GT, cioè dei parametri epatici».
Gli esami da fare
Sì alle analisi del sangue mirate per verificare in modo approfondito la funzionalità del fegato, i test di autoimmunità e la biopsia del fegato. Sono la “prova del nove” della Cbp, come viene comunemente definita questa malattia.
Si può restare incinta?
«Molte donne dopo la diagnosi sono preoccupate all’idea di un’eventuale gravidanza», interviene Vincenza Calvaruso, ricercatore presso il Dipartimento biomedico di medicina interna e specialistica dell’Università degli Studi di Palermo. «Ma non ce n’è ragione. Al momento infatti non ci sono evidenze scientifiche che la Cbp possa avere un impatto negativo sulla possibilità di rimanere incinta o portare a termine con successo una gravidanza. Chiaramente questo nelle pazienti dove la malattia è tenuta sotto controllo».
Le cure
«Al momento non si guarisce» dice il professor Invernizzi. «Ma per fortuna oggi sono disponibili farmaci innovativi in grado di tenere sotto controllo i disturbi. Ultimo arrivato, l’acido obeticolico, messo a punto dai ricercatori dell’Università di Perugia». Per curare la malattia, ci vuole però un Centro specializzato. Non sai a chi rivolgerti? Verifica sul sito dell’Osservatorio malattie rare (www.osservatoriomalattierare.it «L’Italia ha un ruolo importante nello studio della malattia» conclude il professor Invernizzi. «Si è recentemente costituito il ‘Pbc Group Study’ con l’obiettivo di creare il primo registro nazionale dei pazienti. E il nostro Paese ha avuto un ruolo importante nella stesura delle nuove linee guida sulla diagnosi e cura della malattia».