Le vicende sono reali, i protagonisti anche. Le loro storie, crude e avvincenti come un giallo, sono rimaste impresse per qualche ragione nella memoria collettiva. E oggi, sempre più spesso, tornano a galla per essere proposte al pubblico in modi diversi e più coinvolgenti. Il boom dei “cold case”, i vecchi casi di cronaca, investe l’Italia a colpi di libri, film, serie tv e podcast. Il successo dei prodotti che intrecciano storie criminali del passato, inchiesta giornalistica e nuove modalità di racconto non è un trend recente: nato negli Stati Uniti con podcast come Serial o docufiction come Making a murderer, ha fatto breccia in fretta nel nostro Paese, dove il 45% dei lettori forti predilige il romanzo giallo e le trasmissioni tv come Chi l’ha visto o Storie maledette fanno il pieno di share e condivisioni social. Ora, però, l’approccio è cambiato. Lontani dalla morbosità e dalla spettacolarizzazione dei talk show, i format esplosi negli ultimi mesi percorrono strade meno battute che dimostrano di funzionare ugualmente bene.
I podcast ci allontanano dal flusso delle news
Apripista della rivoluzione sono stati i podcast, che quest’anno hanno più che raddoppiato gli ascolti in Italia grazie soprattutto al traino del “true crime”: Polvere, l’audiodoc di Cecilia Sala e Chiara Lalli che ricostruisce l’omicidio della studentessa universitaria Marta Russo, ha totalizzato 160.000 ascolti tra la piattaforma Storytel e quelle free, dove era stato inizialmente pubblicato a episodi.
Poi ci sono La piena di Matteo Caccia (su Audible), storia di un meccanico finito a libro paga dei narcotrafficanti, e Mostri (di nuovo Storytel), dedicato ai maggiori serial killer italiani. A incollare il pubblico alle cuffiette ci sono vicende di cui conosciamo i contorni ma non i dettagli, che vedono spesso persone comuni finire imprigionate in pericolose trame più grandi di loro, ma anche il mezzo tecnico: le serie audio incuriosiscono e facilitano l’ascolto. E la capacità della parola di far immaginare ci allontana dalla vista del sangue permettendoci di riflettere su altre sfumature che non avevamo colto nel flusso immediato delle news. Un po’ come osservare un quadro a lungo invece di passarci davanti per un attimo assieme ad altri cento visitatori.
Serie tv e doc approfondiscono dettagli e personaggi
Non c’è solo l’audio. Negli ultimi tempi alcuni casi italiani, più o meno noti, dopo essersi tolti di dosso la polvere dei faldoni giudiziari diventano sempre più spesso storie per lo schermo. Tutta la verità, giunto alla seconda stagione sul canale Nove, ha già ripercorso tra gli altri le storie del mostro di Firenze, del delitto di Garlasco e delle bestie di Satana. Gli ascolti superano spesso la media di rete, danno vita a versioni estese a pagamento sulla app DPlay+ (è il caso dell’intervista esclusiva al serial killer Gianfranco Stevanin) e tirano la volata a decine di format simili. Tra questi si distingue un altro prodotto italiano, Sirene, che racconta le indagini dal punto di vista degli inquirenti.
Altri esempi? Matteo Rovere, regista e sceneggiatore di cult come Veloce come il vento e Romulus, sta producendo una fiction e un documentario sulla morte di Sarah Scazzi, che a 10 anni di distanza conserva alcuni punti oscuri. Il doc è scritto da Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni, autori di Sarah, la ragazza di Avetrana (Fandango), un libro che ha tentato di allontanarsi dagli aspetti più morbosi della vicenda che hanno condizionato le cronache del passato. Ed è questa, probabilmente, una delle chiavi del successo dei “cold case” all’italiana: la distanza permette una narrativa più delicata e approfondita, che non si limita alla condanna dei cattivi ma aggiunge sfumature, tratteggia lo sfondo.
I libri ricostruiscono l’atmosfera e il contesto
È quello che è capitato con uno dei bestseller di quest’anno: La città dei vivi di Nicola Lagioia (Einaudi), anch’esso già pronto a diventare una serie tv per Sky. La vicenda descritta è quella della morte di Luca Varani, ucciso a Roma nel 2016 da Marco Prato e Manuel Foffo: ma quell’indagine è solo il pretesto per esplorare il lato più feroce della Capitale, e per riflettere sul dolore e sulla colpa, come ha dichiarato l’autore. E porta a una duplice angoscia: perché l’omicidio senza movente, senza un legame che leghi vittima e colpevole, è quello che spaventa di più.
«Alla fine di ogni storia» ha detto Moira Demos, una delle autrici di Making a murderer, «l’unica cosa che ci interessa è capire perché non è successo a noi di essere la vittima o l’assassino. Il male ci somiglia più di quanto siamo disposti ad ammettere, ed è per questo che non smette di affascinarci: perché ci racconta qualcosa di noi».
Gianluca Ferraris è autore del podcast Mostri (Storytel)